Francesco Brusa Nane Cantatore Valerio Peverelli
Sono trascorsi quasi 10 mesi dall'aggressione della Russia all'Ucraina. Un'analisi sulla situazione militare sul campo in ques'intervista agli autori di Takt.blog
Quando si parla di guerre lo si fa troppo spesso da una prospettiva astratta, senza scendere nel dettaglio di ciò che succede sul campo, delle condotte dei diversi eserciti in azione e delle ripercussioni che le operazioni belliche hanno sulla popolazione civile. Anche nel caso dell’invasione russa dell’Ucraina, molte volte non si va oltre il singolo episodio del giorno o della settimana (per quanto eclatanti): dai primi ritrovamenti delle violenze di Bucha alla recente liberazione di Kherson, dai bombardamenti vicino alla centrale nucleare di Zaporižžja fino allo “scalpore” provocato dal presidente Zelensky per aver affermato che sul territorio ucraino è in atto un vero e proprio “genocidio”. Come valutare correttamente tutti questi elementi? Al nono mese di conflitto aperto, abbiamo provato a tracciare un “bilancio” della guerra in corso con Valerio Peverelli, Nane Cantatore e Giordano Ginanneschi, membri del sito indipendente di analisi militare Takt, che si impegna a fornire aggiornamenti di commento sugli andamenti bellici soprattutto dal punto di vista delle strategie impiegate sul campo e sulle tecnologie utilizzate negli armamenti. Valerio Peverelli ha studiato storia e in particolare storia militare all’università di Milano prima e con un dottorato presso l’ateneo di Torino poi. È stato collaboratore del blog sul mondo islamico contemporaneo “Tutto in 30 secondi” e fra i suoi temi di interessi ci sono la rivoluzione militare e la guerra dal punto di vista del combattente, gli irregolari e le unità mercenarie, il ruolo e la percezione sociale dei combattenti; Nane Cantatore si occupa da una trentina d’anni di comunicazione e strategia e si interessa da autodidatta all’analisi militare; Giordano Ginanneschi ha una formazione da ingegnere informatico e ha competenze riguardanti la tecnologia in senso lato.
Come mai avete deciso di fondare questo blog? Cosa pensate del racconto, in termini di analisi militare, che viene fatto dalla stampa (in particolare quella italiana) rispetto alla guerra in Ucraina?
Nane Cantatore: Takt nasce per un’esigenza molto semplice: avere un posto dove approfondire alcune analisi più a lungo termine, che vadano al di là dell’immediata attualità dei fatti. Se lo abbiamo creato, è proprio perché in questi mesi abbiamo messo insieme un bel po’ di informazioni e anche qualche ragionamento sulla guerra in corso, attingendo soprattutto al di fuori di quanto viene servito dai media, italiani in particolare. Diciamo che l’offerta della stampa non sembra davvero all’altezza della situazione: nella maggior parte dei casi, le notizie che arrivano sono quelle delle agenzie stampa, che a loro volta seguono le dichiarazioni ufficiali, che in genere arrivano prima - spesso molto prima - su diversi canali social. Ma non è, ovviamente, solo una questione di velocità. Spesso manca la capacità di analizzare l’importanza relativa delle diverse notizie e di elaborare un quadro generale e stime attendibili, salvo affidarsi a “esperti” assai opinabili. E mancano del tutto, almeno nella stampa generalista, analisi approfondite.
Va detto che, in questi nove mesi, c’è stato qualche miglioramento. Ma siamo ancora ben lontani da un livello sufficiente, per un tema di questa importanza. Ciò non vale solo per le operazioni belliche ma anche, e forse ancora di più, sul quadro politico ed economico internazionale. Manca, specie nella stampa italiana, la capacità di analizzare i dati, per verificare quali siano le reali tendenze in corso; così, per fare un esempio, sulla vicenda del prezzo del gas si è costituito un eccessivo allarmismo, senza che si verificasse quasi mai il livello degli approvvigionamenti e del fabbisogno.
A che cosa ci troviamo di fronte? Contando le stime dei decessi (sia militari che civili) è una guerra particolarmente sanguinosa, se confrontata sia con eventi del passato che con conflitti aperti del presente?
Valerio Peverelli: Possiamo dire che è un conflitto simmetrico ad alta intensità (anche se ovviamente con periodi di “stanca”). Già questo è singolare, visto che la maggior parte dei conflitti ad alta intensità combattuti negli ultimi 70 anni è stata breve (guerra dei 6 giorni, Yom Kippur, Falklands, la guerra d'indipendenza bengalese, la guerra del Condor, ecc.) con pochissime eccezioni (la guerra Iran - Iraq, o la Corea ad esempio). Le guerre lunghe sono state per lo più conflitti asimmetrici, magari con momenti simmetrici (come il conflitto indocinese), ma per lo più combattuti attraverso la guerriglia.
È anche un conflitto piuttosto sanguinoso, anche se per ora non esistono dati attendibili sulle perdite di nessuno dei contendenti, e neppure per le perdite civili. Ma quel poco che traspare la rende paragonabile alla guerra in Iraq. Se sarà meno sanguinosa dipenderà soprattutto dal fatto che i cittadini ucraini hanno potuto abbandonare buona parte delle zone più calde del paese e vivono oggi come profughi interni o internazionali.
In tutte le grandi guerre della prima metà del ‘900 l’artiglieria è stata la causa del grosso delle ferite e delle perdite. Qui questo aspetto è ancora più evidente, unito alla grande importanza assunta dalle fortificazioni campali, e dalla ricognizione per mezzo di droni di moltissimi tipi differenti, dal super tecnologico al civile modificato. Di tanto in tanto ritorna ad essere un conflitto meccanizzato, ma se guardiamo al fronte nella sua interezza somiglia per certi aspetti al fronte orientale del primo conflitto mondiale.
Si tratta peraltro di una guerra di annessione territoriale…
Valerio Peverelli: La logica dell'annessione ha molte ripercussioni sui civili: per la propaganda di Mosca gli ucraini o non esistono, e quindi sono russi, oppure vivono solo nella parte più occidentale del paese, e quindi si sta combattendo in territori russi abitati da russi. Entrambe queste narrazioni, contraddittorie almeno in apparenza, convivono. I russi stanno conducendo una “guerra di liberazione” dal satanismo occidentale (democrazia, libero pensiero,illuminismo, individualismo, femminismo, LGBTQ e tutto il pacchetto che allontana l'uomo da Dio e dallo Stato), ma lo stanno facendo in un territorio “loro”, abitato da cittadini “recuperabili”, che spesso verranno ricollocati in Russia per essere, in un certo senso, rieducati ed amalgamati al loro vero popolo. Il popolo ucraino quindi va russificato, anzi la russificazione è uno degli elementi che giustificano la guerra, e ovviamente va anche scacciato, perché non tutti sono “russificabili”.
Per molti politici russi nazionalisti la decadenza demografica della Russia, le culle “vuote” sono un incubo e la guerra (già dai tempi dell'annessione della Crimea) aumenta la popolazione. Questo però non si traduce in un warfare particolarmente gentile verso i civili: la narrativa russa ovviamente descrive i russi come intenzionati a preservare le vite dei civili che stanno liberando dal nazismo occidentale. Se non fosse perché l'armata russa tutela i civili avremmo già vinto, ruggiscono sui loro blog e giornali, e ripetono i loro apologeti. Nei fatti le tattiche russe, anche in ambiente urbano, si basano sulla potenza di fuoco e sul fuoco di saturazione, soprattutto usando l'artiglieria e le armi pesanti montate sui veicoli. Quindi le città in cui si è combattuto (come Mariupol) o vicino a cui si è combattuto (come Sumy) sono spesso devastate. C’è anche il caso di Kharkiv, bombardata duramente all’inizio della guerra, quando ancora poteva avere il senso di preparare il campo di battaglia, ma poi colpita ancora per mesi dopo il primo ritiro, in pratica fino a quando la controffensiva ucraina non ha sloggiato l’artiglieria da tutte le posizioni da cui poteva colpire il centro urbano. Bombardamenti di questo genere, con armi non guidate e fuoco di massa, sono veri e propri atti di terrorismo verso la popolazione.
Potremmo anche pensare che le due versioni siano ben lungi dall'essere contraddittorie, questo conflitto punta non alla conquista dei “cuori e delle menti” degli ucraini, ma alla trasformazione dell'Ucraina, o almeno di alcuni suoi oblast, in Russia. Per farlo se la popolazione “non russificabile” si riduce ben venga. L'economia e la possibilità di sfruttamento dei territori conquistati ritengo vengano ben considerate, ma valgono meno della conquista pura e semplice, perché l'espansione dei confini russi, fino al ritorno dell'impero, è stata identificata, da Putin, almeno dal 2014 (e forse dal 1998) come un obiettivo desiderabile in sé, oltre che per rafforzare la propria immagine. Dal lato ucraino, invece, si traduce nella necessità di bombardare con una certa precisione, perché tutti i civili coinvolti (anche nelle repubbliche secessioniste) sono in realtà cittadini ucraini, potenzialmente parenti dello stesso artigliere che sta sparando. Ciò nonostante anche il fuoco d'artiglieria ucraino uccide civili, ma Donetsk, pur essendo a tiro di mortai dalle postazioni ucraine, non ha subito bombardamenti paragonabili a quelli di Mykolaiv, Zaporižžja o Kharkiv.
Torniamo agli inizi del conflitto: l’esercito di Putin attacca direttamente la capitale ucraina Kyiv che, però, oppone resistenza e non crolla. Stando alle dichiarazioni pubbliche di tante istituzioni, quasi nessuno si aspettava che questa resistenza potesse avere successo. Oltre alle capacità dell’esercito ucraino, in queste prime fasi abbiamo visto anche una forte resistenza popolare all’invasione: al di là del dato simbolico, quanto ha contato in termini di successo bellico questo secondo elemento?
Valerio Peverelli: Esprimo un mix di opinioni e fatti in questa risposta, più che in altre. La prima fase del conflitto è densissima di “elementi”, militari e politici, che hanno determinato la sconfitta totale russa, e che ancora condizionano la guerra. Anzi questa non è una domanda, è la domanda. Quindi mi permetto una risposta fuori scala. Gli elementi che concorrono a dare una risposta sono, ovviamente, molteplici e ancora in buona parte ipotetici, visto che solo quando potremmo aprire gli archivi del Cremlino (e delle grandi potenze) avremmo un'idea precisa di ciò che ha portato alla guerra.
Diciamo che uno degli elementi da tener presente è che in Russia comanda Putin, che la cricca al potere tende a credere alla propria propaganda e alla propria visione del mondo, secondo la quale l'Ucraina non è una nazione potente, autonoma e in grado di reggere davanti alla Russia, ad esempio, o che nel 2014 l'Ucraina non si arrese solo perché la Russia non si impegnò per davvero. Anche la narrazione sul genocidio del Donbass ha finito per convincere i russi, anche di alto grado, che si sia davvero rischiato un genocidio in Ucraina. A questo aggiungiamo che le dirigenze russe sono circondate da sicofanti, incompetenti e corrotti, e quindi tutti si dicono l'un l'altro soprattutto quello che vogliono sentirsi dire, che sia vero o falso, probabilmente i servizi segreti russi in Ucraina erano particolarmente mal gestiti e avevano intascato molti soldi millantando corruzione di alti ufficiali ucraini ignari di tutto. Prima della guerra si sviluppò persino un dibattito allucinante sul fatto che i russi non avrebbero invaso. Al contrario, se a Natale era ancora possibile che le manovre militari fossero solo una misura di diplomazia militare, a gennaio era chiaro che stava per accadere una guerra, persino le direttrici di avanzata erano ipotizzabili, anzi le manovre russe non rispettarono alcun tipo di mascheramento, inganno e disinformazione, ovvero la norma per l'arte operativa russa. Certo lo spionaggio britannico e americano prese sul serio quel che accadeva, mentre altrove lo si giudicava impossibile, perché era oggettivamente irrazionale.
Detto questo tutto l'occidente immaginava che i politici ucraini sarebbero scappati, i militari ucraini si sarebbero arresi, al massimo potevano supporre che il popolo sarebbe stato un osso più duro, organizzando varie forme di resistenza, violenta o non violenta; anche se il territorio ucraino si presta male alla guerriglia di grosse proporzioni, è ideale per le azioni di guerriglia urbana, difficilissimo da isolare internazionalmente perché ha frontiere sconfinate. Nei primi giorni molti analisti e storici militari (ricordo Gastone Breccia in Italia), e nel mio piccolo anche io, ipotizzavano che la guerriglia ucraina avrebbe sconfitto i russi, soprattutto perché gli ucraini sono tanti (40 milioni, ovvero i russi sono appena 3,5 volte gli ucraini) e vivono su un territorio immenso, difficile da controllare con un piccolo esercito come quello russo. Insomma ci immaginavamo un conflitto che diventava alla svelta asimmetrico, come in Iraq nel 2003, solo più grosso e in Europa. Questa idea probabilmente l'avevano anche i Russi, che stavano per invadere un paese con una quarantina di milioni di abitanti (come l'Iraq) e appena di un terzo più grande, usando grossomodo un esercito delle dimensioni di quello utilizzato da Bush nel 2003 (180.000 russi, più grosso modo 30.000 secessionisti e un numero imprecisato di Rosgvardia, contro 148.000 americani, 45.000 britannici, 2.000 australiani, e diverse migliaia di peshmerga e irregolari iracheni). Immaginando che il loro esercito fosse altrettanto, se non più efficiente, di quello americano, o in grado di gestire la medesima sfida logistica. E con un nemico altrettanto incapace di arrestarli davvero.
Ma facciamo un passo indietro, se Putin è arrivato alla folle e irrazionale decisione di invadere l'Ucraina non siamo solo davanti al fallimento di tutto lo stato maggiore russo e delle sue forze armate, che non sono riuscite a prevedere gli eventi e a convincerlo a soprassedere, o a riorganizzare, si tratta al contrario di un fallimento globale della diplomazia internazionale. Noi occidentali abbiamo oramai considerato l'economia come il motore della politica, almeno dagli anni '80 supera per importanza ogni altro punto di vista. Se una cosa è economicamente dannosa, pericolosa, autolesionista, è sbagliata.
Non è sempre stato così. La repubblica di Venezia sarà stato uno stato mercantile, governato da una aristocrazia che doveva buona parte delle proprie fortune ai traffici internazionali, eppure nel '600 si dissanguò in lunghe guerre contro l'impero ottomano per conservare il titolo onorifico di “Regina di Candia” e per l'onore delle armi e della bandiera. Per l'onore e la grandezza si combatté in tutto il secolo di ferro. In buona parte guerre economicamente dissennate anche in una prospettiva imperialistica.
Noi europei, soprattutto i tedeschi, ci eravamo convinti che coinvolgere la Russia economicamente, rendere i nostri mercati interdipendenti, riempire le loro élite politiche ed economiche di soldi (e farci corrompere le nostre in cambio), avrebbe scongiurato una guerra. Chi ucciderebbe mai una gallina dalle uova d'oro? Ogni conflitto con la Russia poteva e doveva essere risolto con trattative gentili e non svantaggiose per Mosca, anche quando le richieste di Putin erano superiori a quanto si era pattuito solo pochi mesi o anni prima, o venivano disattese nei fatti. Tutta la tragedia di Minsk è anche in questo tipo di ragionamenti, tipicamente franco-tedesco. Addirittura i governi italiani decisero di continuare ad onorare i contratti di fornitura di autoveicoli militari IVECO Lince alla Russia, senza farsi grandi problemi, anche dopo l'invasione della Crimea. I contratti andavano onorati e la critica alle sanzioni era trasversale. anche in seguito la vendita di munizioni e armi leggere è proseguita, anche se queste sono utilizzate, più che dall’esercito, proprio dalle forze di polizia impegnate nella repressione. Questo ha riguardato governi con maggioranze diverse, come il governo Renzi o entrambi i governi Conte. Non siamo stati neppure gli unici in Europa (anche se nessun contratto è così sfacciato come quello della IVECO), ma questo ha anche una ricaduta “positiva”, perché le sanzioni colpiscono un settore, quello della difesa, che non è più autarchico dal 1991.
Invece il governo russo, e una parte (numericamente minoritaria ma non trascurabile) della pubblica opinione russa non la pensa affatto così; pone la grandezza e l'onore dello stato davanti all'economia, vuole una Russia imperiale, temuta e riverita tra le grandi potenze. Non gli interessa, non quanto a un occidentale medio, una Russia ricca o all'avanguardia nelle scienze o nelle arti, non gli interessa una Russia prospera e giusta. Vuole la Russia forte. E confonde forte con temuta. Ed è quindi disposta a lanciare operazioni (come l’invasione di uno stato confinante) che sono politicamente, economicamente e anche militarmente folli, o rischiose, perché pensa che accrescere il territorio dello stato, o la sua reputazione marziale, e non il suo PIL, sia essere una potenza.
E qui veniamo al “giorno 0” dell’invasione…
Valerio Peverelli: Le truppe russe attraversano la frontiera secondo un piano operativo molto ambizioso (e prevedibile), che mira alla conquista di tutto il paese, a partire dall'accesso al mare e da nord e nord est, isolando l'esercito ucraino in una sacca nel Donbass. Il piano prevede una molteplicità di direttrici d'attacco separate, senza concentrare i propri uomini in una sola direzione. Addirittura dalla Crimea le migliori truppe russe attaccando su linee divergenti e non convergenti, una manovra rischiosissima, che dopo il “piano blu” di Hitler, che portò alla sconfitta di Stalingrado e al fallimento nel Caucaso, veramente pochi eserciti hanno usato.
L'idea che mi sono fatto è che complessivamente i generali russi fossero convinti, tanto quanto Putin, che la resistenza ucraina sarebbe stata simbolica, che l'unico vero problema erano le linee fortificate attorno alla linea di contatto e che quindi bisognasse attaccare altrove, per isolare laggiù le poche truppe ucraine capaci di combattere. Ben 8 penetrazioni puntavano all'Ucraina settentrionale, tra Kharkhiv e Kyiv, su un fronte ampissimo, che coinvolgeva il grosso delle truppe, senza però considerare che l'esercito russo di oggi non è sconfinato come quello sovietico, e che la logistica russa fa fatica a rifornire più di 180.000 uomini in Ucraina. Inoltre davanti a queste truppe sarebbero stati inviati i paracadutisti in una operazione diretta verso la capitale. Però i soldati erano molto meno di quelli che sarebbero serviti. Questa concentrazione di truppe a nord, e questo uso aggressivo dei paracadutisti, erano a mio avviso un tentativo di occupare immediatamente la regione di Kyiv, decapitare il governo e poi marciare trionfalmente attraverso la valle del Dnipro, raccogliendo un po' alla volta tutte le colonne d'assalto.
Operativamente era un buon piano? Non credo, non con le risorse disponibili, concentrare tutto su 2-3 assi d'avanzata, magari 2 su Kyiv e uno a sud come diversivo, oppure limitarsi a trasformare il Donbass in una grossa sacca, isolando l'esercito ucraino, sarebbe stato molto più convenzionale, ma anche molto più saggio. Invece gli obiettivi russi erano eccessivi: conquistare tutti gli sbocchi al mare, tutto il nord del paese, Kyiv, Kharkiv, chiudere il Donbass in una sacca, arrivare al Dnipro, troppa roba.
Inoltre, eccetto che al sud, fu anche eseguito male, e contrastato bene (il nemico è chiaramente un fattore che influenza l’andamento delle operazioni).
Non credo che i responsabili delle forze militari russe avessero, complessivamente, contezza di quanto i problemi fossero gravi, di quanto fossero poco addestrate le truppe, corrotti ed inefficienti le intendenze, antiquata la concezione logistica, manchevoli i quadri intermedi, o meglio 20 anni di nascondere la polvere sotto il tappeto, li avevano resi incapaci di ascoltare i vari campanelli d'allarme, dall'inefficacia dell'aviazione russa in Georgia nel 2008, ai problemi evidenziati in Siria nel 2012.
Comunque ogni fortezza vale tanto quanto vale la sua guarnigione, questo si è dimostrato essere vero anche in Ucraina. Mentre lo spionaggio anglo americano fu capace di prevedere nel dettaglio l'attacco russo, non capì che Zelensky non intendeva fuggire, che l'esercito ucraino intendeva resistere (e aveva piani per farlo), che le truppe di seconda e terza linea ucraine (la guardia nazionale e la difesa territoriale) anche se mal armate e non perfettamente inquadrate intendevano resistere fino alla fine. E che il popolo ucraino dietro di esse era pronto ad armarsi e a combattere. Magari combattere malissimo e morire, come i giovani che furono spazzati via nella difesa di Kherson, ma spessissimo, invece, portando un concreto aiuto alle truppe regolari ucraine.
In che stato versavano le truppe regolari ucraine in quel momento?
Valerio Peverelli: È un aspetto su cui poco si insiste: l'esercito ucraino a marzo era già piuttosto grande, era stato provato in combattimento in modo continuativo dal 2014, si stava riformando, con un processo che è tutt'altro che un calco occidentale (anche il fatto che fosse su 3 livelli lo avvicina molto più alla Jugoslavia o Cina comuniste che all’Italia o alla Francia), ma che ne prevede alcuni elementi di spicco (sergenti come leader e non come disciplinatori, decentramento, brigate agili invece di pesanti divisioni, informatizzazione capillare ecc.).
Certo mancavano le armi occidentali (a parte qualche economico drone turco), praticamente assenti fino all'inizio della guerra, ma non dobbiamo dimenticare che l'Ucraina era uno degli arsenali dell'URSS, aveva tanto materiale vecchio, e anche molto materiale nuovo (come gli Stugna-P anticarro, di produzione ucraina), si era preparata a subire un'invasione russa (anche se non credo la immaginasse così) dal 2014, tutti i soldati e gli ufficiali di mestiere (e della riserva) sapevano che prima o poi avrebbero potuto essere lì, con tutto l'esercito russo davanti. L'appoggio popolare ha fatto il resto, nessun esercito può combattere bene se il popolo gli chiede di arrendersi, ma è difficile per un esercito sfaldarsi se il popolo gli chiede di lottare e chiede di essere armato al suo fianco. Questo deriva anche dal fatto che il “colpo di stato” occidentale del 2014, o il “movimento colorato pagato dalla NATO” del 2004, sono in realtà fenomeni che hanno attraversato in profondità la società Ucraina, con elementi rivoluzionari, o quanto meno di movimento di massa e di volontà politica e partecipativa.
Altro elemento molto dibattuto: quanto hanno influito gli aiuti militari e di intelligence forniti dagli alleati occidentali a Kyiv?
Valerio Peverelli: In modo diverso a seconda del momento. La capacità spionistica alleata (soprattutto UK e USA) nei primi 2/3 mesi della guerra è stata preziosissima. Non si può dire nulla con certezza, ma non mi stupirei se fossero riusciti a leggere tutta la comunicazione in codice e a intercettare e vagliare quella in chiaro. Ovviamente continua, garantendo alla piccola Ucraina foto satellitari superiori a quelle della potente Russia. Il SIGINT occidentale, sono pronto a scommetterci, ha permesso agli ucraini di eliminare numerosi alti ufficiali russi, identificando i luoghi delle loro conferenze presso la prima linea.
Poi per il morale l'arrivo delle armi occidentali, ad alta tecnologia, e dei fondi di magazzino ex patto di Varsavia è stato notevole. In realtà in parte, ma solo negli ultimi mesi, è servita anche per il morale russo sul fronte interno, che può trovare una scusa per le sue sconfitte. Dal punto di vista pratico significava che l'Ucraina non dipendeva solo dalle proprie scorte, e che la logistica ucraina non terminava a Leopoli.
Detto questo all'inizio gli ex patto di Varsavia (Polonia e repubblica Ceca soprattutto, oltre a diverse piccole nazioni, Estonia, Lettonia e Lituania sovradimensionate rispetto alle loro dimensioni, ma anche ex jugoslave come la Macedonia e la Slovenia e qualcosa dalla Germania ex DDR) hanno dato un enorme contributo nel fornire munizioni e armi compatibili con quelle ucraine, a cui si è aggiunta la capacità americana di racimolare quello stesso tipo di armi made in URSS in giro per il mondo (soprattutto in Egitto) aggiungendo un po' di armi leggere di produzione americana.
Inoltre, nei primi tempi si mandava tantissimo materiale cosiddetto “non letale” o “difensivo”, una distinzione abbastanza artificiale (un radar o una radio sono “non letali” in sé, eppure sono tra i più potenti strumenti militari), che però ha permesso agli ucraini di avere accesso a elmetti, giubbotti anti proiettili, divise, stivali, kit di pronto soccorso e altri materiali fondamentali per ogni guerra, forse persino di più delle munizioni. Ad aprile il tipo di aiuto europeo ad americano è cambiato: si è compreso che la guerra sarebbe durata un anno o più, e che servivano armi tecnologicamente più avanzate. Gli USA hanno saputo cogliere la gravità della situazione e hanno inviato subito armi di livello superiore, soprattutto artiglieria calibro 155 mm e HIMARS, anche se l'addestramento ha rallentato gli effetti pratici che queste armi avrebbero portato, questi sono stati anche strategici oltre che operativi. I cannoni 155mm con munizionamento a lunga distanza hanno permesso per la prima volta un discreto fuoco di controbatteria ucraina (anche se l'artiglieria russa è rimasta superiore), mentre gli HIMARS hanno permesso una campagna di bombardamenti sulla logistica, tanto le linee di rifornimento (ponti ecc) quanto i depositi, gli aeroporti ecc, che ha cambiato il volto della guerra. Già la logistica russa era zoppicante quando poteva arrivare a 30 km dalla prima linea, adesso è stata costretta a spostare i suoi magazzini 80 km dietro.
Gli aiuti occidentali, tolti gli USA, coinvolgono, all'inizio, soprattutto materiale vecchio e sono lenti, spesso dopo dibattiti che ne riducono ulteriormente la quantità e la qualità, o con problemi politici che rallentano alcuni governi come la Spagna costretti a sottostare alle tempistiche dettate dalla NATO o dalla Germania (sui carri armati decide lei). Pensiamo all'Italia, di sicuro (malgrado la secretazione imposta dal governo Draghi): come artiglierie, abbiamo mandato 1 o 2 batterie di obici da 155/39 mm FH70 (4 o 8 pezzi), cioè cannoni vecchiotti e in via di dismissione (pensionati in UK e Germania) ma ancora validi, che sono stati promessi ad aprile/maggio e sono arrivati a luglio. Poi una batteria di semoventi da 155/52 mm PZH2000, molto moderni, che forse è arrivata ad agosto (4 pezzi). A cavallo del cambio di governo sono iniziati ad arrivare gli M109, ovvero semoventi dell'epoca della guerra fredda da 155/39 mm (progetto 1962), in naftalina da anni e che dovevano essere venduti anni fa al Pakistan (per fortuna non se ne fece nulla). Quindi solo in questi giorni sta arrivando materiale in quantità (30, 32 pezzi?), ma risulta piuttosto vecchio e non proprio adattissimo. La Francia ha deciso di mandare poco, come l'Italia, ma tutto modernissimo, come gli USA, anche, va detto, perché vuole mettere in mostra alcune sue eccellenze per venderle sul mercato dell’export, quindi fare un po’ di sciacallaggio.
Banalmente a regalare artiglieria all'Ucraina non ci guadagna nessuno, mentre si cerca di ottenere un ritorno. Certo molte nazioni hanno promesso molto, e quello che hanno promesso sta iniziando ad arrivare. È il caso tedesco, che inizierà a far arrivare (ma in parte dietro pagamenti) materiale contraereo e d’artiglieria davvero moderno.
Insomma c’è un forte discrimine “qualitativo” per quanto riguarda gli aiuti militari…
Valerio Peverelli: Mentre le consegne ex patto di Varsavia, o di artiglieria vecchia come quelle italiane, permettono all'ucraina di tirare avanti e continuare a difendersi, espandere le proprie forze armate quantitativamente, sono le armi tecnologicamente avanzate, come i razzi d'artiglieria HIMARS americani e le migliori artiglierie europee (i francesi Cesar, i PzH-2000 tedeschi, i Krab polacchi, i Zuzana slovacchi e gli Archer anglo-svedesi), o i missili terra aria IRIS-T tedeschi, o i droni turchi (Erdogan però li vende, non li presta né li regala) e americani (anche navali) a fare la differenza. Perché spingono la guerra in dimensioni in cui i russi stentano ad agire, tolgono spazio e iniziativa al nemico, alzano il livello tecnologico del campo di battaglia oltre a quello che la Russia può contrastare.
Con donazioni “quantitative” come quelle polacche o italiane (queste ultime anche poche quantitativamente) la guerra continua, e la vittoria ucraina non si allontana, ma neppure si avvicina rapidamente, con donazioni di carattere innovativo può svoltare più facilmente. Con però un altro aspetto “positivo” delle donazioni quantitative, l’esercito ucraino è molto cresciuto, e non si possono costituire brigate, nemmeno leggere, senza automezzi e artiglieria, quindi la crescita dell’esercito ucraino (che è difficile da quantificare, ma pare notevolissima) è dipesa, almeno in parte dagli arrivi di materiale alleato, magari da lunghissime distanze, visto che parliamo sempre di NATO, ma tra i donatori ci sono persino l’Australia e Taiwan.
Viceversa lo stato maggiore ucraino non fa che chiedere 2 cose, che l’occidente non vuole concedere, sin dai primi giorni. Ovvero sistemi per ottenere il controllo, se non il dominio dei cieli (soprattutto aerei, droni, bombe aeree avanzate e sistemi contro aerei), e armi con una gittata superiore a quella russa (missili, droni, ecc). Sono anche sistemi che richiedono tempi lunghi, solo la contraerea, e solo ora, sta arrivando. Di aerei occidentali non se ne parla, e ufficialmente neppure di aerei ex sovietici smontati e fatti arrivare un pezzo alla volta (cosa che invece succede in modo quasi sicuro). Siccome l’occidente non sta facendo gran che in questo senso non escluderei che gli ucraini stessi, che comunque avevano un’industria aeronautica e missilistica moderne, ed erano una delle culle tecnologiche in campo militare sin dall’epoca sovietica, possano fare da soli in questo campo.
Sostanzialmente per ora l’occidente non intende far diventare completamente simmetrico questo conflitto, e non sta mandando armi a lungo raggio, che riescano a colpire il territorio metropolitano russo in profondità, mentre i russi, dal primo giorno, hanno questa possibilità, e la sfruttano, anche a livello di pressione politica e di terrorismo aereo.
Per ora credo che gli aiuti militari occidentali materiali non vadano sottovalutati, sia a livello morale che a livello materiale, ma hanno iniziato a pesare davvero solo negli ultimi mesi, e potrebbero diventare determinanti. Proprio per questo i russi li temono molto e faranno di tutto per separare l'Ucraina dall'occidente, e fanno pressione (in qualche caso con successo, ad esempio sulla Sud Corea) sul resto del mondo. C’è anche un aspetto “negativo” dell’invio delle armi: la logistica ucraina va complicandosi, visto che i fornitori sono diversi, e mandano armi di epoche diverse, molti di loro 30 anni fa erano parte del patto di Varsavia, altri erano paesi NATO, altri non erano in nessuna di queste due alleanza, ogni alleanza aveva standard e calibri comuni, ogni paese aveva ed ha le sue particolarità, quindi oggi l’Ucraina si trova ad avere una miriade di sistemi differenti, con parti di ricambio non intercambiabili. All’inizio tutti sembravano preferire le forniture di armi ex sovietiche/ex Varsavia (USA inclusi) proprio perché gli ucraini sapevano gestirle meglio, erano addestrati ad usarle, e avere pochi calibri diversi semplifica sempre la logistica. Oppure armi di derivazione sovietica, ma con mix occidentali, come sono molte di quelle sviluppate in europa orientale negli anni immediatamente successivi alla caduta del muro (Cecoslovacchia, Jugoslavia e Polonia avevano ottime industrie militari).
Questo non è più vero da aprile, tranne che per un’eccezione: i carri armati. Malgrado gli ucraini chiedano a gran voce carri armati occidentali moderni, per annullare la superiorità russa. In particolare Leopard 2 (ma pure i Leopard 1 non sarebbero completamente sgraditi) solo la Spagna sembrò offrirli. Per ora stanno arrivando moltissimi carri ex Varsavia relativamente moderni (soprattutto T 72), ma, proprio perché la Germania su questo tema frena non sono arrivati mezzi occidentali, né moderni, né veterani della guerra fredda. Addirittura la Slovenia ha offerto dei T55 modernizzati, che sono veramente obsoleti, anche se la modernizzazione era basata su tecnologie tratte dai Leopard 1 (e quindi sarebbero ottimi per addestrare alle tecnologie tedesche i carristi ucraini).
Questo grosso sostegno da parte occidentale all’Ucraina spinge alcuni a parlare di “guerra per procura”. D’altra parte, allargando il campo, la Bielorussia fornisce appoggio logistico alla Russia fin dal primo giorno del conflitto e ultimamente si sono verificate forniture di droni da parte dell’Iran. Qual è il vostro giudizio su questo?
Valerio Peverelli: Giorni fa circolava una battuta, proprio in risposta alle continue accuse rivolte agli americani di voler combattere la Russia fino all'ultimo ucraino, su come l'Iran stesse continuando la sua guerra per procura contro gli Stati Uniti fino all'ultimo soldato russo. Al di là degli scherzi quasi ogni guerra è anche una guerra tra campi contrapposti, già ai tempi della guerra del Peloponneso (e in verità anche prima) esistevano le grandi coalizioni e ogni conflitto coinvolge alleati, sia direttamente che indirettamente.
Questo vuol dire che sono tutti conflitti per procura tra poche grandi potenze? No. Anzi il concetto stesso di guerra per procura è di difficile definizione. Le grandi potenze non riescono mai a controllare agevolmente i loro alleati, a meno che non li riducano a livello di proxy (come i russi sono riusciti a fare delle repubbliche popolari del Donbass, ma anche lì, malgrado fossero esperimenti politici nati dalla volontà russa, sono serviti omicidi ed epurazioni per imporre la linea di Mosca), mentre le piccole potenze hanno sempre cercato l'aiuto delle grandi per usarle e ottenere quello che esse vogliono.
Non direi che è la NATO che usa l'Ucraina per indebolire la Russia, o meglio forse questa cosa esiste, ma esiste anche l'Ucraina che usa la NATO per sconfiggere la Russia. Il rapporto è sempre dialettico, e spesso più sbilanciato a favore delle piccole potenze che delle grandi.
L'Ucraina poi non è una dittatura, non la definirei semplicemente una democrazia, le istituzioni democratiche sono ancora deboli e appena nate, ma ha istituzioni, separate le une dalle altre, spesso le abbiamo viste dialogare con una certa asprezza in questi giorni. In particolare lo stato maggiore ucraino, pur fedele al potere politico costituzionale, non è prono ad ogni desiderata del presidente Zelensky, che invece ha provato ad umiliare il parlamento e il movimento sindacale, riuscendoci anche in parte, ma arrivando anche a dei limiti che non può facilmente superare. Ovviamente la guerra ha rinforzato, come sempre accade, l’esecutivo su gli altri poteri civili dello stato, e sta cambiando i rapporti tra i grandi gruppi industriali “oligarchici” ucraini e il potere politico, come e più dei momenti rivoluzionari del 2004 e del 2014. Detto questo il potere economico ucraini, gli “oligarchi”, ci sono ancora e hanno un loro peso, superiore a quello di una normale Confindustria. Quindi non c'è un burattino da manovrare, ma una serie di istituzioni e forze sociali, ognuna con la propria agenda e recalcitrante ad essere eterodiretta.
Gli USA non possono obbligare l'Ucraina a far pace con la Russia, con questo o quel piano, succedesse tutte queste istituzioni avrebbero da ridire, e nessuna obbedirebbe. Forse neppure la Russia aveva la capacità, lo avesse voluto, di obbligare i propri proxy delle “repubbliche popolari” ad applicare davvero gli accordi di Minsk. Anzi, a dirla tutta, durante questo conflitto le componenti più “politicizzate” o autonome del sistema militare russo, dalle compagnie militari private ai reggimenti di volontari cosacchi, nazisti, zaristi o di altra natura, hanno aumentato il loro potere e il loro peso, e potrebbero diventare molto meno manovrabili dal potere centrale. Detto questo fare una guerra, anche questo dall'età del bronzo direi, vuol dire cercare alleati. La Russia ne ha pochi, ma, torniamo all'Iran, non sono per lei meno importanti dei tantissimi che ha l'Ucraina, e anzi quest'ultima, soprattutto perché economicamente in bancarotta, è molto dipendente dai suoi alleati. Ma la dipendenza economica non è mai stata equivalente alla sudditanza pura e semplice, gli alleati condizionano, consigliano, spingono, magari anche riescono a persuadere e in parte ad obbligare, ma persino l’URSS dentro il patto di Varsavia non riusciva a comandare senza attriti e difficoltà. Tutte le nazioni alleate nella Seconda guerra mondiale terminarono il conflitto in una posizione di subordinazione economica agli USA, eppure l'URSS era già pronta a sfidarne l'egemonia.
Come risposta alla controffensiva ucraina, Putin pare abbia scelto di bombardare infrastrutture civili e città molto lontane dal fronte, causando varie vittime civili. D’altra parte, nelle cittadine liberate sono spesso state trovate fosse comuni e segnali di violenza sui civili compiuta durante l’occupazione. Pensate sia possibile capire quale sia il tasso di violenza perpetrata durante le occupazioni? L’esercito russo si sta macchiando di quanti crimini di guerra, in comparazione con altri conflitti del passato recente?
Nane Cantatore: La nozione di crimini di guerra, come capita spesso con le nozioni generali, è tanto ampia da essere vaga. Credo che si possano individuare cinque tipologie di questi crimini e che, in base a quanto sappiamo, si possano determinare anche quali sono stati commessi dalle due parti. Innanzitutto, i crimini commessi dalle truppe nei pressi del combattimento (tipicamente nel corso dell’azione o subito dopo): uccisione o maltrattamento di prigionieri, uso di civili come scudi umani, saccheggi e altre violenze (come gli stupri) immediatamente dopo l’azione, come una sorta di prosecuzione barbarica della battaglia. Qui, oltre alle chiare responsabilità dei singoli, i comandi possono essere variamente colpevoli, per esempio autorizzando e persino incoraggiando queste pratiche (come nel caso delle istruzioni impartite alle truppe naziste al momento di invadere dell’URSS) oppure coprendo i responsabili e ostacolando le indagini, come hanno fatto molte volte gli americani in Vietnam. Le truppe russe sono certamente colpevoli di molti di questi crimini e i loro comandi, altrettanto certamente, sono complici almeno nel secondo senso. Da parte ucraina non risultano violenze sui civili ma, almeno nella prima parte della guerra, ci sono diversi episodi oscuri nel trattamento dei prigionieri e non si possono escludere episodi di giustizia sommaria verso i collaborazionisti delle zone liberate. Sembra difficile trovare elementi di incoraggiamento di queste pratiche da parte dei comandi ucraini, anche se è possibile che abbiano fatto molto per nascondere fatti che potessero offuscare l’immagine eroica delle loro truppe.
Poi ci sono gli attacchi deliberati ai civili nel territorio nemico, per peggiorarne le condizioni di vita, metterli in pericolo, seminare il panico. Tutti questi elementi, che durante la Seconda Guerra Mondiale facevano parte della dottrina strategica di diversi paesi, oggi sono riconosciuti come crimini di guerra. I russi sono responsabili di parecchi attacchi indiscriminati, che possono essere considerati criminali se non altro per le loro conseguenze. A questo si aggiungono azioni deliberatamente rivolte contro la popolazione civile, come i bombardamenti di artiglieria su Kharkiv o la recente campagna contro le infrastrutture. Gli ucraini hanno commesso alcuni crimini del genere nei primissimi giorni del conflitto, come il lancio di un missile TOCHKA-M su un mercato a Donetsk, ma sembra che da allora si siano astenuti da questo tipo di operazioni. Altra tipologia: le operazioni di controllo del territorio e di antiguerriglia. Si tratta di crimini (arresti arbitrari, torture e uccisioni) che avvengono ben lontani dalle operazioni di combattimento, in genere nelle retrovie. Molte di queste atrocità sono state scoperte nei territori liberati e il primo, celebre esempio è sempre quello di Bucha. Questi atti in genere avvengono per ordine diretto dei comandi o per lo meno con il loro incoraggiamento; anche quando siano il risultato di azioni indipendenti di alcune formazioni subordinate, attività di questo tipo richiedono almeno la copertura dei comandi. E qui i russi sono certamente colpevoli di diverse atrocità. Quando questo tipo di atrocità diventa sistematico, tanto da formare una prassi diffusa e consolidata, allora il carattere criminale dell’occupazione fa un salto di qualità e si passa dai crimini di guerra a quelli contro l’umanità: l’occupazione stessa, al di là della sua illegalità, diventa un sistema di atrocità verso i civili, con il pieno coinvolgimento dei comandi e anche dei vertici politici. Possiamo presumere che questo stia avvenendo, da parte russa. Un elemento importante di questo sistema sono i saccheggi su larga scala, che mantengono il consenso tra le truppe e sottopongono la popolazione a ulteriori vessazioni. Infine, ci sono le pratiche genocide, che vanno dalla deportazione di massa all’inserimento di popolazioni fedeli al regime, fino allo sterminio vero e proprio. Sappiamo che i russi stanno facendo anche questo, in particolare con la deportazione dei bambini, dati “in adozione” a coppie russe. In Crimea, fin dall’annessione, espulsioni e sostituzioni sono avvenute con carattere sistematico.
Valerio Peverelli: Per formazione sono uno storico militare, sono ben consapevole di quanto sia difficile, anche a bocce ferme e con gli archivi aperti, con la possibilità di verificare la storia orale sui documenti amministrativi e le carte processuali, capire il livello di distruzione e di violenza che una guerra può generare. Inoltre quanto possano crearsi dibattiti eterni, in cui il peso della propaganda e delle instant news rimane predominante su tutti gli altri tipi di dati (pensiamo a quello sul bombardamento di Dresda, ad esempio). Figuriamoci a conflitto in corso.
Possiamo però fare delle considerazioni, anche di carattere comparativo. La Russia negli ultimi 30 anni ha combattuto molte guerre, confrontabili a quelle condotte dall'occidente, e, soprattutto dalle guerre cecene in poi, è emerso un pattern. La pubblica opinione e il movimento pacifista, sia detto a loro eterno merito, sono riusciti a condizionare le operazioni degli eserciti occidentali, e soprattutto dei loro governi. Questi hanno chiesto alle truppe il rispetto dei trattati e puniscono (anche se talvolta in modo blando) le violazioni e crimini di guerra. Ovviamente le istituzioni militari occidentali non sono formate da samaritani, violazioni anche molto serie continuano a ripetersi, e scelte scellerate vengono avallate da alti gradi o da questi coperte. Ma il massacro indiscriminato di civili, o la ricerca della vittoria senza curarsi dei crimini di guerra, non sono ipotesi facilmente accettabili, tutt'altro. Questo non ha riguardato altri imperialismi e altri paesi.
Chi viene scoperto a massacrare i civili in Europa o negli USA rischia, come minimo, un processo, in Russia è letteralmente il contrario, e se va bene. Ovviamente esistono casi, come Chelsea Manning o Julian Assange che meritano la massima attenzione e supporto in occidente, ma il grosso dei crimini da loro denunciati ha costretto gli USA a umilianti processi. Anche negli accordi internazionali la Russia è indietro nella rettifica di molti trattati alla limitazione degli armamenti, dalle bombe a grappolo alle armi termobariche. Anche qui non si tratta di un'eccezione unica al mondo, Regno Unito, Israele e USA sono, ad esempio, quasi altrettanto inadempienti, o hanno firmato diversi trattati con lentezza e ritardi. Ad esempio la convenzione sulle bombe a grappolo del 2008 (non ratificata e rispettata, tra gli altri, da USA, Russia, Cina, India, Israele, Pakistan e Brasile, ma seguita da quasi tutte le altre potenze) oppure hanno impedito che venissero proibite le armi termobariche, limitandosi a proibire che vengano utilizzate contro i civili.
La storia, specie quella recente, ci aiuta a chiarire cosa accade nel presente: la strategia russa per “pacificare” la Cecenia e la Siria, ed è oramai dimostrato da anni, ha coinvolto in modo scientifico ospedali, luoghi di distribuzione di aiuti umanitari, strutture politiche, rifugi per civili, come obiettivi dell'artiglieria e dell'aviazione. Questa è una decisione che coinvolge tutti i più alti livelli di comando. E questo è un crimine di guerra che potrà essere dimostrato, associando ogni azione a uno o più responsabili, pianificatori ed esecutori, ma solo se la Russia vorrà processare i suoi vertici militari, aprendo gli archivi. Cosa che è altamente improbabile senza una sua sconfitta totale, e in verità anche in tal caso.
Un discorso simile si può fare sui bombardamenti e gli attacchi che prendono di mira deliberatamente obbiettivi strategici civili, una pratica che oggi è considerata universalmente un crimine di guerra, anche se fu per molti anni reputata normale e insegnata in tutte le accademie militari, specie quelle aereonautiche, come base del bombardamento strategico. Ecco credo che in questo caso molti generali russi, purtroppo troverebbero una certa solidarietà nei loro colleghi occidentali, ma colpire una centrale elettrica, o altre infrastrutture civili industriali, energetiche, comunicative (uno dei primi colpi russi della guerra fu contro i ripetitori della TV e gli studi televisivi), oggi è considerato un crimine di guerra, e sarebbe auspicabile che si riuscisse ad usare questo conflitto per ribadirlo, anche per chiarirlo agli ufficiali delle altre nazioni.
Ma vorrei soffermarmi del crimine di guerra più universalmente diffuso nelle zone d'occupazione russa, anche se è il meno grave: il furto. I soldati russi rubano, con violenza o senza, non tutti rubano, e non tutti rubano tutto quello che si può trasportare, ma i furti vengono fatti ad ogni livello, dal saccheggio sistematico coordinato dagli ufficiali (pare che nel raion di Izium i russi abbiano preso più del 90% del bestiame), al colonnello che si mette d'accordo per svuotare un magazzino, fin ai ragazzini soldato che entrano in casa di un pensionato e gli svuotano lo scaffale dei cordiali.
Questa micro realtà criminale spesso contiene altri crimini: immaginate ragazzi ubriachi, armati, in gruppo, certi della loro impunità, nella casa di una donna. Non è un crimine di guerra che coinvolge direttamente il governo, ma, proprio perché universalmente diffuso il governo russo è responsabile dell'impunità che garantisce ai suoi uomini, per cementarne la fedeltà (in un certo senso rendendoli correi). Esiste il livello micro perché esiste anche un livello macro. Per esempio è l'autorità politica che requisisce tutte le attività produttive e industriali dei profughi, o degli oppositori manifesti, o di chi non accetta il nuovo regime, le nazionalizza o le regala/vende a sostenitori locali, quando non decisamente russi. Oppure le smantella e spedisce in Russia i macchinari e le scorte. La deindustrializzazione dell'Ucraina, decisa ad alti livelli, o accaduta per una serie di circostanze, è un fatto. E ricalca un metodo, mafioso per molti versi, che era già stato ampiamente utilizzato nelle repubbliche secessioniste dal 2014.
Quindi il furto di un telefonino da parte di un soldato è solo il riflesso del saccheggio economico pianificato dei territori occupati, qualcosa che ricorda l'occupazione della Germania Est nel 1945.
Ovviamente esistono molti altri livelli di crimine, quelli contro le persone sono molto più gravi di quelli contro le cose, e quelli lontano dal fronte più gravi, e dimostrabili come crimini, di quelli nelle retrovie. Ad esempio non sarà facile dimostrare che il missile che ha colpito i profughi nella stazione di Kramatosk fosse diretto a loro, e non al vicino deposito di materiale ferroviario, verosimilmente pieno di materiale utilizzato per rifornire il vicino fronte. Né sarà facile dimostrare che i moltissimi civili uccisi dal fuoco di armi leggere, o da quello dell'artiglieria, sono il frutto di una scelta ponderata, oppure del panico e della scarsa considerazione per la vita altrui. Le fosse comuni, che continuamente vengono scoperte, sono in parte piene di corpi di persone uccise perché erano al posto sbagliato al momento sbagliato, in una situazione in cui chi è al servizio di Mosca gode di completa impunità, anche volesse sparare ad un bambino perché lo giudicava sospetto.
Esistono altri crimini, i rapimenti, le torture (e molte centinaia di persone vittime di torture, rapimenti, arresti e fermi arbitrari sono sopravvissute e li stanno raccontando) che vengono raccontati anche (e non solo) dalle fosse comuni. Per esempio nelle fosse comuni si trovano spesso corpi legati, ammanettati o imbavagliati, uomini (e donne) uccisi con colpi alla nuca o a bruciapelo. 30 corpi dei 447 trovati Izium, anche dopo mesi, mostravano tracce documentabili di torture con l'uso di corrente elettrica, alcuni uomini in quelle stesse fosse comuni erano stati castrati. Alcuni sono stati identificati, come persone arrestate senza mandato e portate via dalle loro case dalla Rosgvardia o da russi (in divisa o in borghese) che non si erano identificati. Sono soprattutto i rapimenti e le uccisioni di sindaci, veterani di guerra ed attivisti, spesso a quanto pare, seguendo una lista, che si configurano come crimini di guerra dimostrabili, e che coinvolgono i massimi livelli politici e militari. Perché qualcuno ha ordinato di fare delle liste, e qualcun altro le ha compilate. E costoro hanno responsabilità superiori a chi ha messo in pratica gli arresti. Inoltre anche i prigionieri di guerra, una volta arrivati nei campi o lontani dal fronte, hanno denunciato maltrattamenti, minacce, vitto insufficiente, celle ristrette, e trattamenti disumani, degradanti o contrari al diritto. Tutte cose facilmente dimostrabili, mentre le uccisioni dei prigionieri, anche settimane o mesi dopo l’arresto, in incendi fatti passare per bombardamenti, lo sono molto meno.
Dimostrare un coinvolgimento, anche solo parziale, di Putin nei crimini di massa a Bucha è difficile, al massimo, come dicevo, si può ragionare sull'omissione delle gerarchie russe, che garantiscono la più completa impunità ai loro sottoposti; dimostrare il suo assenso, o anche l'ordine diretto, di uccidere, torturare, rapire le persone delle liste, invece, è possibile. E anzi la sua partecipazione a tale ordine, sia pure come generico assenso (“eliminate le persone che ritenete pericolose”), è molto probabile.
Poi si potrebbe/dovrebbe aprire il capitolo delle politiche attive e passive di russificazione, che sono crimini di guerra e ne contengono altri a cascata. Costringere gli insegnanti ucraini a insegnare la versione russa della storia ucraina, distruggere archivi e monumenti, minacciare le famiglie di dividerle in caso di mancato rispetto di alcune norme di russificazione separare i figli dalle madri, rapire e portare in russia orfani e bambini soli, sono tutti crimini tra i più odiosi. Non c’è razzismo, in senso hitleriano, nel fascismo russo, c’è però un genocidio culturale, vero e proprio, che viene spesso difeso sui giornali da esponenti di primo o secondo piano del governo e del mondo culturale ad esso vicino. Spero che queste persone saranno chiamate a processo, anche perché questi burocrati i crimini li hanno commessi in modo palese, manifesto e non li stanno negando come i poliziotti torturatori, gli assassini soldati o i generali e politici che stilano liste.
Qual è invece il grado di attenzione da parte ucraina verso i civili, lo chiedo anche in relazione ai bombardamenti sul Donbass? Fece scalpore il report di Amnesty sul metodo utilizzato dall’esercito ucraino per resistere, che avrebbe inutilmente messo in pericolo i civili. Fu però contestato nel merito da alcuni analisti. Qual è la vostra opinione?
Valerio Peverelli: Non conosco guerre completamente prive di crimini di guerra. Ovviamente esiste un livello “politico”, pianificato, e un livello basico, per esempio un singolo soldato che ruba, uccide prigionieri, stupra. Il significato di questo secondo livello cambia notevolmente se il governo interviene o garantisce una completa impunità. Il governo ucraino appare ancora piuttosto omertoso verso i crimini commessi dai suoi soldati verso prigionieri, spie, sospetti, ma non completamente lassista in tutti i casi presi in esame. Almeno a parole si è fatto carico del problema e ha diramato diversi ordini del giorno alle truppe per rispettare la vita e le proprietà dei prigionieri, mentre questi, una volta portati lontano dalla prima linea, godono di un trattamento generalmente migliore degli ucraini catturati dai russi.
Un caso diverso è quello relativo ai filorussi. In Ucraina sono convinti che il relativo successo russo nel conquistare Kherson, Melitopol e Mariupol, ovvero tutto il sud, dipenda da tradimenti e vigliaccheria, ma soprattutto dai tradimenti. Questa interpretazione (a mio avviso falsa, anche se comprensibile, anzi da un punto di vista militare è più difficile spiegare perché l’Ucraina ha vinto su tutti gli altri campi di battaglia, che perché abbia perso qui) porta ad un clima di forte sospetto, sia verso le forze politiche “filorusse” (che sono state chiuse o sciolte, anche oltre il ragionevole, visto che alcune stavano mollando il loro posizionamento precedente), sia verso esponenti di queste. Ovviamente il problema resta, il sindaco di Kreminna (realtà molto polarizzata tra filo russi e filo ucraini, che si alternano al governo) si dichiarò da subito entusiasta dell’invasione russa, ignoti entrarono in casa sua e lo uccisero per questo: il ministro dell’Interno minimizzò l’accaduto quanto un governatore della Luisiana degli anni ‘30 verso un linciaggio. Ovviamente si trattava di un personaggio pubblico che stava incitando al tradimento, ma la sua punizione extralegale ed estrema, e la mancanza di condanna politica non fanno ben sperare.
Certamente quello che vale nei territori liberi non vale nei territori occupati, anche se “pietà l’è morta” è ovvio (e giustificabile) che i collaborazionisti lì possano e debbano essere uccisi con ogni mezzo, mentre per il governo ucraino appare più difficile spiegare perché le stesse persone, al di fuori dalle aree occupate, meritino un regolare processo, pene moderate ed, eventualmente, una amnistia appena dopo la fine dei combattimenti. Eppure è proprio quello che il diritto prevede e richiede, ed in questo l’aiuto occidentale (e la capacità critica della libertà di stampa) sono fondamentali.
Da questi elementi di sfondo possiamo passare ai bombardamenti nel Donbass e alla questione del rapporto di Amnesty. I bombardamenti in aree urbane sono sempre rischiosi per i civili, anche quando si prendono le massime precauzioni. Gli ucraini hanno migliorato decisamente il loro record di precisione, rispetto al 2014 o ai primi mesi del conflitto. Rimangono dati contrastanti, mentre le vittime russe sono 14 o poco più (escludendo la Dugina), quelle dei civili delle “repubbliche popolari” attribuite agli ucraini superano i 1200 uomini, ma sono, forse per 2/3 causate in territori occupati di recente, praticamente sulla linea del fuoco (e spesso in contesti in cui è davvero molto difficile stabilire se quel colpo di mortaio era effettivamente ucraino, o russo, o secessionista). Di fatto “solo” 437 vittime civili (dati aggiornati al 6 novembre) attribuite agli ucraini sono state segnalate dall’ONU dopo l’inizio dell’invasione. Si tratta sia di vittime dirette del tiro ucraino, magari mentre stavano a casa loro o al mercato, sia di persone coinvolte nell’esplosione di basi militari, treni, depositi di munizioni o carburante, o dipendenti civili delle strutture militari russe e/o secessioniste, colpite deliberatamente dall’artiglieria ucraina. In particolare le basi del PMC Wagner sono state spesso centrate, uccidendo personale civile impiegato nelle mense o nell’amministrazione.
Né Donetsk né Luhansk sono state bombardate in modo intensivo, o anche solo a singhiozzo come Zaporižžja o Kharkiv. Eppure entrambe le città, e soprattutto Donetsk sono, dall'inizio della guerra, entro il raggio d’azione delle artiglierie ucraine, anche non particolarmente pesanti. Il tiro ucraino, eccetto i primi mesi, è stato piuttosto preciso, ma con occasionali colpi finiti decisamente fuori rotta. Non sono più state usate armi come i missili balistici Tochka (notoriamente poco precisi), né sono mai stati usati gli S300, o altre armi da rappresaglia che Mykolaiv e Nikopol conoscono molto bene.
Ciononostante più di 400 vittime civili accertate, e una possibilità che queste siano 1200 sono tante, e peseranno negli odi della ricostruzione. Gli ucraini non si trattengono perché sono buoni samaritani, ma perché le vittime civili che causano sono tutte civili ucraini, loro futuri concittadini in un'Ucraina libera e riunificata, molti artiglieri, come ho già ricordato, sono nati nel Donbass, le città che bombardano le conoscono molto bene.
Sul rapporto di Amnesty si è detto molto, mi limito a dire che si trattava di violazioni, non di crimini di guerra. Ma non ho molto da aggiungere a quanto è stato ripetuto molte volte (oltre tutto Amnesty stessa ha una copiosa messe di rapporti sui crimini di guerra russi che hanno destato molto poco scalpore). Fosse tutto verissimo ricordo che l'obbligo di far allontanare i civili dalle aree di tiro, che era la violazione più diffusa, decade se il civile, una volta informato, si rifiuta di andarsene. Che è quello che spessissimo pare sia accaduto. Anche se a noi pare assurdo, è in verità assai frequente in ogni guerra. Nessuno lascia volentieri la propria casa, neppure se è in mezzo ad un campo di battaglia.
Quali i prossimi sviluppi più probabili del conflitto? E perché?
Valerio Peverelli: Anche questa è una domanda molto rischiosa, nessuno prevede il futuro, e, mentre capire la prossima settimana è possibile (avendo però a disposizione tutti i dati, cosa tutt'altro che facile basandosi solo su fonti open source) prevedere i prossimi mesi è impossibile.
Possiamo però indicare delle tendenze generali, o almeno provarci. La Russia sta gestendo il conflitto in modo da fare soprattutto tre cose, legate ed interconnesse tra loro: farlo durare il più possibile, tutta la sua mobilitazione, maldestra ma di grandi proporzioni, serve proprio a questo. Difendere ciò che ha conquistato, cedendo meno terreno possibile, anche quando l'ordine “non un passo indietro” è militarmente rischioso. Rendere il sostegno occidentale all'Ucraina sempre più oneroso politicamente ed economicamente, magari cercando di convincere gli europei a trattare sopra le teste degli ucraini una fuoriuscita da un conflitto, che prova a rendere eterno.
Una guerra lunga potrebbe logorare la volontà occidentale di sostenere l’Ucraina, logorerebbe la capacità economica e militare ucraina (magari più lentamente di quella russa, che però è 3 o 4 volte più grande), e farebbe apparire al fronte interno russo che la guerra non va benissimo, ma che almeno alcuni territori annessi resteranno russi. Quindi ci sarebbe un vantaggio territoriale. Ovviamente questa strategia ha anche delle eccezioni, il governo russo desidera conquistare tutti e 4 gli oblast che si è annesso, quindi in direzione di Bakhmut (dove ultimamente entrambi gli eserciti conoscono un tasso d’usura alto, anche se quello russo è altissimo), e altrove (per esempio a nord di Melitopol) spesso i russi conducono delle offensive, insensate tatticamente ma politicamente doverose per riuscire a centrare questo obiettivo. Perché per i nazionalisti russi l’annessione è una questione vitale.
Gli obiettivi politici della Russia cambiano piuttosto spesso, in base ai rapporti di forza e in base agli ordini, talvolta contraddittori, di Putin, ma la conquista delle 4 oblast recentemente annesse, più la conservazione della Crimea, da un paio di mesi sembrano essere uno dei punti fermi della narrativa russa sul conflitto, sicuramente se la situazione militare cambiasse saprebbero adeguarsi. Per esempio a Kherson lo hanno appena fatto. Hanno rinunciato, ed è una gravissima sconfitta strategica, ad uno dei punti fermi della loro politica annessionista verso l'Ucraina, con gravi problemi anche per il loro fronte interno, però hanno eseguito una operazione tatticamente perfetta di sganciamento, salvando un esercito che era sempre più difficile da rifornire e che stava in fondo ad una linea logistica decisamente fragile e troppo lunga. Questo gli permette di rifarsi una buona riserva per cercare di conservare il resto (ma libera uomini anche per gli ucraini, oltre a far salire il loro morale).
Gli ucraini invece si trovano in un'altra situazione, anche per loro il fattore tempo è importante: gli sforzi della mobilitazione stanno giungendo a compimento, le loro forze armate stanno addestrandosi ancora, e diventano ogni giorno più forti. Anche quando la superiorità numerica è in discussione, perché ora l'esercito russo sta mobilitando (anche se difficilmente potrà rifornire molto più di 200.000 uomini, d'estate, in prima linea). Ovviamente qui ritorna il discorso delle armi occidentali, ne vorrebbero di più e ne vorrebbero sempre tecnologicamente avanzate, mentre spesso devono accontentarsi di quello che arriva, anche quando non è quello che hanno chiesto.
Però in linea di massima sono passati da essere capaci solo di difendersi, a essere capaci di gestire operazioni più complesse, offensive, difensivo/contro offensive, stanno estendendo le loro truppe speciali, rinforzando e iniziando a controllare le forze partigiane, infiltrando truppe speciali ben oltre le linee nemiche, stanno iniziando ad usare armi ad alta tecnologia, padroneggiandone le tecniche.
Ma hanno diversi limiti, il loro esercito 10 mesi fa era costruito per fermare l'invasore, costringendolo a perdite pesantissime in killing zone prestabilite, e costruendo con facilità e rapidamente linee difensive. Questo è ancora il marchio di fabbrica delle forze armate regolari ucraine, a cui hanno addestrato molti degli uomini recentemente mobilitati. Adesso devono passare alla svelta da esercito difensivo, o al massimo difensivo-contro offensivo, ad esercito offensivo. Ci stanno riuscendo, ma la recente ritirata russa da Kherson, così come quella altrettanto riuscita dal nord del paese questa primavera, e quelle meno riuscite (eppure non completamente catastrofiche) da Izium e dal Oskill nell'autunno, dimostra che c'è ancora molto da fare. Da un punto di vista operazionale l’esercito russo riesce a essere ancora superiore a quello ucraino quando viene lasciato libero di eseguire tabelle di marcia prestabilite e ordini pianificati dai livelli superiori. Gli ucraini stanno gestendo bene un comando decentrato sul campo, ma i loro ufficiali superiori tendono a perdere il controllo degli eventi, a vantaggio di sergenti e tenenti molto competenti, che però possono vincere uno scontro tattico, ma non possono progettare una avanzata o una ritirata fulminee.
Gli ucraini sfrutteranno presumibilmente l'inverno, o la fase finale della primavera (dopo le piogge) per cercare di raggiungere il Mare d'Azov e riprendere la parte settentrionale della regione di Luhansk, mentre continueranno a disputare il Donbass meridionale ai russi, cercando di farli logorare in questa battaglia insensata.
Se riuscissero a tornare grossomodo ai confini del 24 febbraio, potrebbero andare a trattare una pace davvero realistica, o quantomeno con una forza negoziale adeguata. Ovviamente la Crimea, ancora più che il Donbass, è un argomento interessante per lo stato maggiore ucraino: è una penisola estremamente strategica, domina tutto il Mar Nero settentrionale, minacciando le rotte da e per Odessa (come quelle da e per Rostov sul Don), nessuno dei due contendenti si sente sicuro a lasciarla in mani altrui, anche perché proprio dalla Crimea è partita l'offensiva russa di maggior successo. Questo difficilmente potranno dimenticarlo.
Quindi esistono per loro due opzioni: una massimalista, che prevede il ritorno ai confini del 2014,o almeno alla liberazione della Crimea, e una minimalista, che prevede il ritorno ai confini di febbraio, per poi arrivare al ripristino dei confini precedenti attraverso le trattative diplomatiche. Sia detto per inciso nei suoi discorsi Zelensky ha fatto riferimento ad entrambe queste opzioni, in modo spesso piuttosto contraddittorio, anche a Kyiv non si è ancora scelto. C’è una chiosa operativa a questa assunto: gli ucraini non stanno conducendo un conflitto simmetrico al 100% neppure dal punto di vista operativo, non solo non dispongono ancora (e verosimilmente neppure in futuro) di armi in grado di colpire in profondità il territorio russo, ma non hanno mai voluto portare la guerra in territorio russo, neppure quando, come in diverse occasioni recentemente durante l’offensiva che da Izium li ha portati al confine del Luhansk, superare anche solo di pochi chilometri la frontiera avrebbe facilitato enormemente l’attacco alle forze russe. Questo è un limite, molto probabilmente, posto dai politici ai militari, e concordato con le forze alleate, potrebbe essere violato? Potrebbe servire agli ucraini entrare in territorio russo per far crollare la popolarità di Putin? Oppure al contrario farlo lo rafforzerebbe? Queste sono domande per ora senza risposta. Putin, invece, non ha idea di cosa vorrà tra 6 mesi, continua a cambiare obiettivi, e tira a campare e a far durare la guerra più che può, sperando in un miracolo che, però, per ora non arriva.