Francesco Brusa Fernanda Minuz
Si potrebbe pensare che un contesto di guerra come quello ucraino appiattisca le differenze sociali e individuali, disparità di classe e di genere. Ma non è necessariamente così: lo dimostra, fra le altre cose, un’iniziativa lanciata da due realtà bolognesi - Associazione Orlando (collettivo femminista che gestisce la Biblioteca delle Donne) e Mit-Movimento Identità Trans (attivo nella promozione dei diritti delle persone transessuali) - che hanno deciso di organizzare una “carovana di genere” diretta verso il teatro bellico per portare beni di prima necessità per la salute sessuale e riproduttiva.
Il 12 settembre scorso, alcuni volontari e alcune volontarie sono infatti partiti dal capoluogo emiliano-romagnolo e da lì sono poi arrivati nella cittadina ucraina di Uzhhorod, al confine con la Slovacchia, con diversi carichi di medicinali e aiuti. Ci siamo fatti raccontare da Fernanda Minuz, consigliera dell’Associazione Orlando, cosa le ha spinte ad animare questa iniziativa.
Come si è arrivate a questa decisione?
Come associazione siamo sempre state impegnate in attività di cooperazione e di costruzione di rapporti internazionali, fin dai tempi del golpe cileno di Pinochet e passando per le guerre balcaniche. Quando è iniziata l’invasione russa il 24 febbraio scorso, abbiamo subito cercato di prendere una nostra posizione politica e, in particolare, una posizione che chiedesse l’applicazione della risoluzione Onu 1325/2000 che riconosce il ruolo delle donne nelle situazioni di conflitto.
Chiedevamo, cioè, che ai tavoli negoziali che si erano aperti a marzo fra leadership russa e ucraina, sedessero anche delle donne. Si trattava del punto di convergenza delle nostre discussioni, visto che come singole non eravamo d’accordo su tutto. Ciononostante, ci era chiaro fin da subito da che parte stare e la nostra elaborazione è partita dalla solidarietà con il paese aggredito e con la sua popolazione civile.
Detto questo, Orlando ha una storia che da una parte ha sempre riconosciuto il diritto all’autodifesa (in tempi recenti alle donne combattenti curde, per esempio) e dall’altra ha spesso cercato di avere rapporti con le istituzioni quando si tratta di mettere in campo delle pratiche di intervento. Nasce così il tentativo di organizzare una carovana di genere, che concordasse il tipo di aiuto umanitario portato alla popolazione con realtà locali attive in Ucraina.
Di cosa si tratta esattamente?
Ciò che accade ogni volta che si apre un conflitto bellico è l’aumento della violenza sulle donne. Le difficoltà della parte più vulnerabile della società crescono. Assieme al Mit e avvalendoci della consulenza della dottoressa Donatella Albini, abbiamo intrapreso un percorso autonomo per capire quali fossero le esigenze più immediate di donne, bambini, anziani, persone trans e soggettività Lgbt relativamente alla carenza di materiale sanitario, dalle pillole per abortire ai farmaci per l’Aids, dalle cure ormonali agli antibiotici.
Ci siamo messe in contatto con l’associazione ucraina Gender Stream , attiva nella regione di Dnipropetrovsk, che ci ha raccontato di come con lo scoppio del conflitto questo tipo di bisogni fosse passato in secondo piano: in particolare, la situazione dei reparti di maternità era drammatica, con la diminuzione del personale e un forte aumento del carico di lavoro. In più, siamo entrate in dialogo anche con la realtà di volontariato Transcarpatian Coordination Office.
Ecco che a quel punto abbiamo iniziato a raccogliere adesioni all’interno delle reti femministe della città di Bologna e in generale all’interno delle realtà solidali cittadine. Cinque dei nostri membri, due del Mit, un paio di attiviste del collettivo Mujeres Libres e alcune persone dei gruppi Cattive Ragazze e della Società della cura sono andati a formare la carovana che è partita per Uzhhorod e ha consegnato il materiale, grazie anche al sostegno di Ant Italia Onlus e l’organizzazione Tng.
Qual è il bilancio dell’esperienza?
Come accennavo, all’interno di molti ambienti politici la discussione sulla guerra in corso è molto difficile e divisiva. Nello stesso movimento femminista ci sono posizioni diverse e anche noi di Orlando non convergevamo su tutto. Ma, siccome cerchiamo sempre di elaborare la nostra posizione non a partire da un compromesso ma dai punti fermi che ci accomunano, abbiamo trovato una “sintesi” in questo progetto, a favore della popolazione civile e delle donne ucraine, e nella ferma convinzione che si debbano accogliere i rifugiati, che si debba favorire l’apertura di negoziati e che vada dato il massimo sostegno alle femministe che protestano in Russia. Insomma, ci interessa praticare una “solidarietà politica” a tutto tondo.