Paolo Flores d'Arcais
A un anno dall'invasione russa dell'Ucraina, una riflessione sul finto pacifismo e su una finta sinistra schierata dalla parte dell'aggressore imperialista.
“Mosca combatte per le sue terre storiche”. Sono le parole pronunciate da Putin al “Concerto patriottico” di mercoledì scorso. Parole di esplicito e agghiacciante imperialismo che riassumono quanto del resto Putin aveva detto un anno e pochi giorni fa, alla vigilia di passare dalle parole ai fatti: che è Russia ovunque si parli russo, e dunque la sua Russia aveva il dovere di recuperare tutti i propri territori storici. Allora nessun volle credere al significato di quelle parole e prenderlo alla lettera. È sperabile che ora, dopo un anno di invasione, nessuno abbia più dubbi o si faccia illusioni. Putin ha intenzione di annettere alla sua Russia assai più dell’Ucraina, la cui esistenza del resto considera una invenzione leniniana, ma ogni paese dove il “da” suoni (non è un caso che da settimane sia in atto in Moldavia un golpe strisciante).
Il delirio putiniano non è dunque quello di rinverdire i fasti di potenza dell’Urss, Putin crede di essere la reincarnazione dello zar Pietro il grande, e che tornare ai confini di quell’impero sia il compito, anzi il Fato, cui la Storia lo chiama. Agirà di conseguenza a meno che non venga fermato.
Fin qui lo ha fermato la resistenza di un intero popolo stretto attorno al suo presidente liberamene eletto. Resistenza a cui nessuno credeva quando il 24 febbraio del 2022 i primi cingolati di Putin hanno violato i confini dell’Ucraina. Non ci credeva Putin, ma non ci credevano le cancellerie occidentali, se per più volte nel corso di pochi giorni Usa e Israele hanno messo a disposizione di Zelensky un aereo, insistendo perché si mettesse in salvo.
E meno che meno ci credevano da noi tante personalità pubbliche che si ritengono di sinistra e che strepitavano che nessun governo occidentale mandasse mai armi agli ucraini che non si arrendevano, per il loro bene, sia chiaro, perché più armi avrebbero al massimo prolungato la carneficina di una lotta destinata comunque a finire in pochi giorni, al massimo poche settimane, il cui esito era scontato. Queste anime brutte non avevano il coraggio di invitare i cittadini ucraini alla resa, e pensavano di imbellettare l’anima ribattezzando la resa con l’accattivante flatus vocis di “pace”.
I cittadini ucraini invece è un anno che resistono, che combattono, che talvolta passano perfino all’offensiva costringendo gli invasori russi a ripiegare, malgrado le città rase al suolo dai missili e dai bombardamenti aerei di Putin, e i milioni di donne costrette ad emigrare con i loro bambini per non finire sotto le macerie, e le stragi di civili e le torture e gli stupri e le efferatezze senza numero e senza nome perpetrate dalle truppe russe, di cui Bucha è l’emblema d’orrore.
Città che forse sarebbero ancora in piedi, efferatezze che non sarebbero forse state perpetrate, se i governi occidentali avessero fornito all’Ucraina che resiste le armi fin dall’inizio richieste: aerei per togliere a Putin il dominio dei cieli, missili a più lungo raggio per impedire l’ammassarsi delle truppe.
Ma i governi occidentali seguono calcoli di opportunità e di potenza, non agiscono ahimè secondo valori e principi, secondo giustizia e libertà che sono pure solennemente ricamati in ogni loro Costituzione. E dunque cominciano ora a prendere in considerazione la fornitura, forse, di quanto avrebbe consentito, forse ma assai probabilmente, se elargito agli ucraini con meno ritardo e contagocce, di ricacciare da tempo dentro i loro confini le truppe d’invasione.
I governi occidentali seguono calcoli di opportunità e di potenza. I cittadini democratici, l’opinione di sinistra e i suoi intellettuali pubblici, dovrebbero informare invece scelte e azione proprio a quei valori di libertà e giustizia che le generazioni dei loro padri e padri dei padri e padri dei padri dei padri hanno fatto imprimere con le loro lotte e i loro sacrifici nella Costituzioni.
E invece, incredibilmente, quella eredità hanno gettato alle ortiche, quasi tutti.
Perché chi è a sinistra, chi prende sul serio la democrazia, tra un regime democratico (per quanto claudicante) e un regime autocratico, che i giornalisti li assassina e gli oppositori politici anche, o se gli va male li mette in ceppi in qualche siberia, non ha certo dubbi: sta dalla parte della democrazia, per quanto claudicante (come la nostra, che è claudicante massimamente, visto che nemmeno le demokrature di Ungheria e Polonia hanno un governo ex-post-neo-filo-para fascista come l’Italia).
Perché chi è a sinistra, chi prende sul serio giustizia-e-libertà, tra una autocrazia che scatena l’invasione imperialistica e un piccolo popolo che resiste in armi, non ha certo dubbi: sta dalla parte del piccolo popolo che resiste in armi, e ai propri governi neghittosi impone a forza di mobilitazioni di massa la solidarietà con quel piccolo paese, non a chiacchiere ma con armi, più armi, ancora più armi, unico argomento che l’aggressore imperialista comprenda. “Armi al Mir!”, gridava e sottoscriveva (in senso proprio, con lire risparmiate), per la resistenza al golpe di Pinochet, chi aveva scoperto la politica col Sessantotto, o ancor prima, o su quell’onda di lotta.
MicroMega è nata trentasette anni fa, con il sottotitolo “le ragioni della sinistra”, che continua a onorare con ovvia coerenza: dalla parte degli ucraini che resistono in armi e che vogliono la pace, davvero la pace, non la resa, la pace, non la tacitiana “hanno fatto un deserto e l’hanno chiamato pace”, la pace dell’invasore respinto, l’unica pace possibile. Tutto il resto è menzogna.