Mattia Pacella Emiliano Bos
Malgrado le sanzioni, un’indagine della cellula inchieste della RSI conferma che prosegue l’export di chip e macchinari di precisione svizzeri - I dati doganali indicano un passaggio da Paesi come Cina e Turchia
L’ultimo microchip "elvetico" è stato trovato pochi giorni fa in Donbass. Era installato sul drone da ricognizione russo "Orlan" che segnala le posizioni ucraine all’artiglieria dei soldati del Cremlino. Questo componente elettronico è prodotto dalla società U-blox di Zurigo, tra i leader mondiali del settore dell’automotive e del sanitario.
La RSI ha ottenuto un video e documenti fotografici che testimoniano questo e altri due ritrovamenti in Ucraina in cui erano presenti chip della azienda zurighese su altrettanti droni russi. Da noi interpellata, U-blox spiega che "dal 2002 ha adottato una politica molto severa che proibisce la vendita diretta e indiretta ai clienti di usare i suoi prodotti in applicazioni militari e armi".
Abbiamo potuto ricostruire almeno la prima tappa del loro percorso: i microprocessori erano stati venduti dall’azienda di Zurigo in ambito civile nel 2012, 2015 e 2019 in Europa dell’Est e in Russia nel settore civile. Poi se ne perde traccia. E finiscono nelle armi russe. Come è possibile che questi semiconduttori utili per la connessione dei droni al sistema di navigazione russo siano arrivati lì?
"Una possibilità che questi microchip finiscano nel sistema militare russo è che siano smontati da prodotti commerciali come bici elettriche e auto. E poi installati su questi droni” ci spiega il CEO della U-blox Stefan Zizala. “Noi seguiamo quanto più possibile la catena di distribuzione per evitare proprio queste dinamiche. Ma se il cliente di un cliente viola queste regole non abbiamo alcuna possibilità di evitare che finiscano lì”.
In Russia dall’Asia anche dopo le sanzioni
Prima della guerra era possibile inviare in Russia questi beni per uso civile, ma comunque non al settore militare. Dal 4 marzo 2022, a seguito dell’invasione russa in Ucraina, la Confederazione ha vietato l’esportazione diretta di questi prodotti verso Mosca: sono considerati strategici e fondamentali per le armi del Cremlino.
In Russia non avrebbero dovuto arrivare. Invece il flusso non si è interrotto, malgrado le sanzioni. La RSI è in grado di dimostrarlo, grazie a dati doganali aggregati di cui è venuta in possesso.
Da questi dati emerge che almeno 14 spedizioni di prodotti definiti “non militari” – tra cui moduli del sistema satellitare “GPS/Glonass” della U-blox - sono state effettuate da cinque aziende cinesi. Il periodo si estende dal 26 maggio 2022 al 28 settembre 2022, per un valore totale della merce di circa 90'000 dollari.
La RSI non è in grado di dimostrare l’effettivo uso di questi chip, o se siano finiti nel settore militare. Destinataria di queste spedizioni è l’azienda russa “SMT ILogic”, una società – come leggiamo sul suo sito – “che viene fondata nel 2015 da un gruppo di specialisti altamente qualificati nel campo delle telecomunicazioni e della tecnologia dei microprocessori e che vanta molti anni di esperienza e stretti legami con i principali produttori di componenti”.
Da inchieste giornalistiche di Reuters, IStories, e del centro di ricerca Royal United Services Institute (RUSI), emerge che dietro alla SMT-ILogic ci sarebbe un’altra società russa, la "Special Technology Center” (STC) di San Pietroburgo, l’impresa produttrice dei droni Orlan.
Le due società avrebbero condiviso nel passato alcuni comproprietari comuni, “poi l'ovvia connessione è stata interrotta” come evidenziano i media internazionali. Il drone da ricognizione Orlan è composto quasi interamente da componenti occidentali, in gran parte statunitensi. Gli stessi USA avevano messo sotto sanzioni l’azienda STC già nel 2016 per "aver assistito il GRU (il servizio di intelligence militare russo) nella conduzione di intelligence elettronica". La Confederazione ha sanzionato invece l’azienda russa solo il 25 gennaio scorso.
Entità cinesi che parlano russo
A vendere in Russia sono società cinesi. Almeno sulla carta. Un’attenta analisi però rivela altro. “Molte di queste società sono in realtà russe: registrate e create da cittadini russi”, ha spiegato alla RSI Denys Hutyk, ricercatore del centro di ricerca indipendente “Economic Security Council of Ukraine”, incontrato nel suo ufficio di Kiev.
“Abbiamo scoperto che almeno un paio di queste imprese cinesi si sono rivelate essere la società di facciata del principale produttore russo di droni Orlan. Questo è lo schema”.
Consultando l’elenco delle aziende, infatti, si può constatare che il direttore della Asian Pacific Links Ltd - azienda cinese che ha venduto prodotti U-Blox alla società SMT-ILogic - sarebbe un cittadino russo. L’azienda è stata fondata nel dicembre 2014 dopo l’invasione della Crimea.
Non è un caso isolato. In questi mesi, le esportazioni di microprocessori dalla Cina verso la Russia si sono impennate. Da noi interpellato, il CEO di U-Blox dice di non aver riscontrato alcun aumento di vendite verso l’Asia.
Il piccolo "museo" di armi russe di Kiev
Un edificio modesto nel centro della capitale ucraina. Una piccola sede all’ultimo piano, quasi in mansarda. In un angolo accanto a un paio di scaffali, frammenti di ordigni, lanciagranate, resti di droni. Ce li aveva mostrati nelle scorse settimane Maria Pysarenko: armi usate dai russi in Ucraina. Le raccoglie la Fondazione “Serhiy Prytula”, con volontari impegnati nel sostegno delle forze armate ucraine. Ma anche nella raccolta e documentazione di ordigni bellici e armi dei russi.
Yevhen Slavkinskyy ci aveva fatto vedere i resti di un drone Orlan. “Dentro abbiamo trovato motore e videocamera giapponesi, processori cinesi e americani, e… un modulo di navigazione svizzero”. L’Orlan è un drone da ricognizione che gioca un ruolo decisivo lungo la linea del fronte: “Si alza sopra il bersaglio, si ferma, e da lì trasmette le coordinate all’artiglieria russa che poi colpisce l’obiettivo”.
Quelle frese a “duplice impiego”, civile e militare
Oltre ai microchip usati in questi droni, la RSI ha individuato esportazioni verso la Russia anche di grossi macchinari di precisione “made in Switzerland”.
Tra questi ci sono strumenti utensili indispensabili per l’industria bellica di Vladimir Putin. Tra le altre, ad importarli a Mosca sarebbe una filiale di una società svizzera che da più di 40 anni è attiva sul mercato russo: la Galika AG del canton Zurigo.
I dati doganali in nostro possesso provenienti da aggregatori specializzati indicherebbero come la filiale russa di Galika abbia effettuato 382 spedizioni di macchinari utensili, nonché pezzi di ricambio e strumenti di precisione. Il periodo va dal 4 marzo 2022 – proprio il giorno delle sanzioni internazionali adottate anche dalla Svizzera contro la Russia - al 1° febbraio 2023. Il valore dichiarato ammonta a oltre 2,2 milioni di dollari.
La RSI non è in grado di definire quanti tra questi prodotti appartengano alla categoria dei cosiddetti beni a “duplice impiego”, cioè utilizzati sia per il settore civile che militare. Questo tipo di export era stato bloccato dalla Confederazione con le sanzioni.
Stesso macchinario ma regole diverse
Tra queste spedizioni, viene elencata pure una macchina utensile della azienda elvetica “GF Machining Solutions”, con sede anche a Losone, in Ticino. Si tratterebbe di un modello “Mikron HPM 600 HD”, progettata per la produzione universale di parti metalliche di alta qualità, per uso non militare, per un valore di oltre 220'000 dollari.
La filiale russa di Galika l’avrebbe comprata da una società turca. Non è chiaro dove sia stato in seguito installato il macchinario, se in ambito civile o bellico. Tuttavia, nel 2018 ventitré macchine dello stesso modello erano state fornite - sempre da Galika - alla “JSC Konstruktorskoe Buro Priborostroeniya”, una delle principali imprese nel campo dell'industria della difesa russa, con sede a Tula, circa 200 km a sud di Mosca. È un’impresa attiva nella progettazione di sistemi d'arma ad alta precisione per le forze armate di Putin, nonché di sistemi di difesa antiaerea, cannoni ad alta cadenza e armi leggere. Un’entità statale sanzionata dal governo americano già nel 2014. Ma non dalla Svizzera.
Vendite al settore militare, ma “in passato”
Da noi interpellata più volte, la “GF Machining Solutions” non ci ha mai fornito risposta sui singoli casi di esportazione. Nemmeno la SECO, – la Segreteria di Stato dell’economia, ha risposto alle nostre domande relative alle autorizzazioni concesse per macchinari poi finiti nell’industria degli armamenti in Russia.
In una mail alla RSI, “GF Machining Solutions” afferma di aver “sempre rispettato tutti i requisiti esterni, le leggi e le sanzioni, così come i processi di conformità interni”. La società dichiara di non avere “rapporti commerciali diretti con la Russia e altri Paesi (inclusa l’Ucraina) nell'Europa orientale”.
“GF Machining Solutions”, nella comunicazione a noi inviata, chiama in causa l’intermediario commerciale che a lungo l’ha rappresentata in Russia: “Tutti gli affari sono stati svolti dal nostro ex-distributore Galika”. Un rapporto d'affari, precisa “GF Machining Solutions”, che “si è concluso con l'inizio dell’invasione russa in Ucraina”. Nella sua mail, l’impresa segnala che circa il 25% dei suoi prodotti potrebbe essere considerata a doppio uso, civile e miliare.
“In passato” - si legge ancora - “era possibile fornire macchinari a certi settori dell’industria della difesa in Russia e in Ucraina, in accordo con le normative della SECO sull’esportazione”. “GF Machining Solutions” afferma inoltre di aver riacquistato sue macchine già consegnate al distributore Galika, per un importo di circa 4 milioni di franchi “per evitare che vengano potenzialmente spediti in Russia”.
Malgrado ripetuti tentativi e richieste, la Galika AG non ci ha mai fornito risposta.
Cimiteri di missili e presunti crimini di guerra
Macchinari enormi. Ma anche – da lì è partita la nostra inchiesta – piccoli microchip svizzeri che finiscono sui droni russi e pure sui missili.
Per rendersene conto basta andare in una specie di “cimitero” unico in tutta l’Ucraina. Una distesa di ogive, cilindri metallici, fusti di razzi s-300, ormai ridotti a cumuli di ferraglia ma che hanno colpito case e infrastrutture seminando morte in questa parte del Paese. Ci siamo andati, accompagnati da Dmytro Chubenko, portavoce della procura di questa regione. L’ordine è stato chiaro: non effettuare riprese televisive mostrando l’ubicazione esatta. Il timore è che i russi possano geolocalizzarla, anche se probabilmente l’hanno già individuate da tempo.
Questo non è solo un impressionante deposito di frammenti di armi.
Ma anche il luogo dove si conservano le prove dei presunti crimini di guerra commessi dai russi contro la popolazione locale. In totale, oltre un migliaio di missili sono catalogati qui. Questi missili, spiega il portavoce, “hanno provocato oltre 1'600 morti e più di 2'500 feriti nella regione di Kharkiv”. Si analizzano non solo i frammenti metallici, ma anche i microchip affidati a esperti del Ministero della Difesa, per poter poi risalire agli Stati produttori. Inclusa la Svizzera.
I semi-conduttori di almeno due aziende – la ST Microelectronics, il cui quartier generale si trova a Ginevra – e la Traco Power di Baar (Canton Zugo) – sono stati ritrovati sui missili “Kalibr” e “Iskander”. Un ruolo di primo piano spetta comunque agli USA. Lo ha documentato – tra gli altri – la Nako (Indipendent Anti-corruption commission), organizzazione della società civile in Ucraina, in un rapporto anticipato alla RSI e poi pubblicato.
Da noi contattate e malgrado ripetute richieste, ST Microelectronics e Traco Power hanno declinato la nostra richiesta di intervista. Hanno invece inviato alla RSI mandato via mail una loro dichiarazione.
Entrambe affermano - tra l’altro - di aver sospeso tutte le vendite, tutte le esportazioni e le operazioni in Russia, rispettando le sanzioni introdotte dopo l’inizio dell’invasione. “Ci dispiace e siamo scioccati che siano stati trovati componenti elettronici con il nostro logo usati in modo improprio in materiale militare”, ci ha scritto la Traco Power.
“Non autorizziamo né tolleriamo l’uso dei nostri prodotti al di fuori dello scopo previsto”, sono le parole della ST Microelectronics.
Tra due diligence e neutralità
Sul ruolo delle aziende e delle istituzioni – svizzere e occidentali – restano molte domande. Da Kiev raccogliamo la voce di chi invoca una migliore “due diligence”, cioè la responsabilità interna alle imprese e un maggior controllo sui loro prodotti destinati all’esportazione. E di chi chiede di colmare le lacune nei controlli sull’export.
Mentre la macchina da guerra di Putin non si ferma, Denys Hutyk dell“Economic Security Council of Ukraine” chiede interventi urgenti per tentare di impedire queste esportazioni: “Noi qui siamo in Ucraina. Non possiamo aspettare”. E Yaroslav Yurchyshyn, deputato e membro della commissione anti-corruzione del Parlamento di Kiev s’interroga sul ruolo della Svizzera: “Ufficialmente è neutrale. Ma continua a produrre microprocessori che possono essere usati su un’arma. È vera neutralità?