Andrea Ferrario
Un capitolo bello, anche se spesso tragico, di questa terribile guerra è la solidarietà attiva delle migliaia di persone recatesi in Ucraina per lottare a fianco della resistenza locale, a livello umanitario o combattendo. Purtroppo non poche di queste persone sono morte, o rischiano di essere presto mandate a morte. Ricordo qui le figure di alcuni di loro, con un parallelo mosaico di foto.
Il caso più recente è quello del britannico Paul Urey, attivista di una Ong, che aiutava la popolazione a sfollare dalle zone minacciate da attacchi russi. Successivamente al suo arresto a fine aprile è comparso un video in cui, evidentemente dopo essere stato malmenato, viene costretto a fare confessioni estorte. E’ stato poi lasciato morire in prigionia dai separatisti, era ammalato di diabete. La versione russa è che in realtà era un combattente professionista. Una pura invenzione, visto il passato e le condizioni fisiche di Urey. Ma anche se fosse stato un combattente sotto mentite spoglie, o addirittura un membro dell’intelligence britannica, a lui andrebbe lo stesso onore per il coraggio dimostrato, non cambierebbe una virgola.
Un altro caso commovente è quello di Adrien Dugay, un ragazzo francese di appena 20 anni che aveva terminato da poco gli studi liceali, scappato di casa poco dopo l’inizio della guerra insieme al fratello minore e recatosi a combattere in Ucraina per amore della libertà. A fine maggio è stato gravemente ferito nel Donbass ed è poi morto a fine giugno. I genitori, pur nel dolore, si sono detti fieri del figlio.
Venivano da molto lontano i due brasiliani Thalita Vieira do Vale Freiria e Douglas Rodrigues, entrambi anti-Bolsonaro e solidali con l’Ucraina. La prima, Thalita, aveva già combattuto in Siria a fianco dei curdi locali.
Svariati bielorussi sono morti combattendo a fianco degli ucraini per la comune libertà dei due popoli. Tra di loro ricordo in particolare il comandante Ivan “Brest” Marchuk, morto nella difesa di Lisichansk. Non molto prima che morisse era stato girato un filmato su di lui, in cui spiegava con grande serenità che metteva in conto la probabilità di perdere la vita e che ciò è una cosa scontata quando si predono le armi contro un aggressore. E’ invece vivo, ma condannato a una lunghissima pena di carcere, Aleksandr Yaroshuk, presidente del sindacato indipendente bielorusso, impegnato sia nella resistenza contro il potere del tiranno Lukashenko, sia nei sabotaggi alla macchina militare bielorussa-russa per ostacolare la guerra contro i fratelli ucraini. Insieme a lui in carcere tutta la dirigenza del sindacato e decine di attivisti.
Sono ancora in attesa della sentenza di appello i due britannici Aiden Aslin, anche lui ex combattente in Siria a fianco dei curdi, e Shaun Pinner, nonché il marocchino Saadun Brahim, tutti condannati a morte come “mercenari” dai fascisti della “repubblica popolare di Donetsk”. Il capo di questi ultimi, Denis Pushilin, ha specificato recentemente che se la condanna sarà confermata l’esecuzione verrà eseguita mediante fucilazione. Recentemente in rete è stato diffuso un video di Aslin in prigione mentre viene costretto a cantare l’inno russo.
(grazie a Vincent Présumey per avere seguito nel tempo le storie di queste persone attraverso i suoi post, ai quali ho attinto)