Bruno Cava Giuseppe Cocco
Il realismo sostenuto da Antonio Negri e Nicolas Guilhot alla fine è irrealistico, poiché non è in grado di comprendere lo spazio dell’imprevedibile che la resistenza rivela. Lo stupefacente comportamento collettivo della resistenza ucraina ha riaperto la scena della globalizzazione oltre la discussione tra blocchi geopolitici e rapporti di forze, anche se ha creato solo una piccola crepa o una leggera deviazione della tendenza. Ma è una deviazione qualitativa, un clinamen. Gli invasori non se lo aspettavano, e neanche gli alleati.
La pace non è assenza di guerra ma una virtù che nasce dalla forza dell’anima.Spinoza
L’occidente migliore è fuori dall’occidente. L’Europa migliore è nelle giovani iraniane che liberano i capelli e vengono assassinate per questo, nei giovani ucraini che sventolano la bandiera dell’Europa … Adriano Sofri, 29 settembre 2022
Sentendo il verso di Euripide: “Quando muoio, possa bruciare tutto.” [1], Nerone reagì: “Possa bruciare tutto con me vivo!” Per Nerone era più facile immaginare la fine del mondo che la sua fine. Di fronte alla guerra ad alta intensità scatenata da Putin contro le città dell’Ucraina, è più facile per la sinistra occidentale – eccetto qualche rara e coraggiosa eccezione – immaginare la fine del mondo che la fine del dittatore russo.
I critici di sinistra della guerra russa contro l’Ucraina si possono dividere in tre grandi gruppi: coloro che ritengono legittima l’aggressione russa, coloro che difendono la pace, e, infine, quelli che seguono alla lettera il manuale di giochi per bambini del realismo nelle relazioni internazionali. La sinistra che difende la guerra neocoloniale russa[2] non esita a mobilitare argomenti anti-imperialisti per la peggiore guerra imperialista in corso: gli interventi americani passati giustificherebbero l’intervento russo attuale. Poi vengono le differenti sfumature di “pacifismo” che si oppongono all’invio di armi in Ucraina. Negli anni ottanta del secolo scorso i pacifisti sostenevano il disarmo dei propri stati nazionali; ora vogliono che gli altri siano disarmati, anche quelli sotto l’invasione e il terrore da parte di stati più potenti. Infine – terzo momento – si assiste all’incredibile conversione di una parte della sinistra al realismo geopolitico: il sostegno dell’occidente avrebbe dovuto essere evitato perché l’Ucraina spingerebbe a un confronto tra potenze nucleari: vale a dire, sostenere chi resiste all’invasione russa significa favorire l’apocalisse.
Il filo comune che lega i tre gruppi della sinistra occidentale è il fatto di concentrare la critica contro la resistenza ucraina – ridotta a non-soggetto o deposito di pregiudizi coloniali, e trasformata in una “piccola repubblica” nell’anticamera della storia[3] – e di benedire delicatamente l’aggressione russa in nome dell’anti-americanismo ontologico e della paura – di solito un miscuglio di entrambi in proporzioni diverse.
Nell’area del pastiche antimperialista è stata anche esaltata l’alternativa neo-leninista tra “guerra e rivoluzione”[4]. Una strana rivoluzione che sta dalla parte della narrazione neocoloniale russa e archivia il ciclo di lotte e rivolte ucraine degli ultimi decenni, per esempio, la sollevazione di Maidan del 2013-14. Nel mix vengono poi mescolati arbitrariamente l’inversione della logica e la sistemazione della Russia nella posizione di male minore rispetto agli Stati Uniti, l’America latina e il Sud-globale. Per essi, gli Stati Uniti sono in verità il male peggiore se paragonati alla Russia. Tuttavia, nulla di tutto questo spiega perché la Russia sarebbe un male minore dell’Occidente per gli ucraini, che sono le vittime e il principale nucleo di resistenza in questo conflitto armato. Dopo che siamo stati testimoni delle correnti negazioniste della pandemia, lo siamo ora del negazionismo dei pacifisti anti-ucraini. Solo la resistenza e le popolazioni ucraine devono subire le “conseguenze economiche della pace”, invertendo la famosa formula di Keynes. Come si può dimenticare che una delle cause di questa guerra è che gli ucraini erano disarmati, avendo consegnato il loro arsenale nucleare appena dopo l’implosione dell’URSS, un’unione a cui, come una delle repubbliche, essi partecipavano proprio come la Russia? E poi, c’è il fenomeno per cui chi, incespicando sulla sassosa via di Damasco, si è convertito alla trascendenza delle teorie realiste, come quella di J. Mearsheimer[5], abbandonando la religione civica delle lotte di un popolo per la libertà e la democrazia, come quella del Machiavelli delle piccole repubbliche italiane[6].
La difesa machiavelliana del popolo in armi, che crea la sua libertà attraverso l’azione tra la moltitudine e il principe, diventa la nuova apologia hobbesiana della paura al servizio della pace con la sottomissione degli ucraini. Una pace simile è in realtà il nome mistificante della normalizzazione della Guerra. Questa presunta complessità nasconde una semplice realtà affettiva: la passione per il potere dello Stato[7], rappresentato dal regime di Vladimir Putin.
In un articolo pubblicato sulla New Left Review, [qui in traduzione italiana] Antonio Negri e Nicholas Guilhot[8] hanno scritto che nulla sarebbe più pericoloso di confondere una Guerra per procura tra potenze nucleari con un conflitto asimmetrico contro uno “stato terrorista” in nome di “alti ideali”, come “democrazia” o”diritti umani”. Sin dal principio Negri e Guilhot trasformano i fatti in una nuvola di confusione. Il comportamento dello stato russo è in effetti quello di uno stato terrorista: nelle zone ucraine, sotto occupazione o no, bombarda, tortura e uccide indiscriminatamente; sul piano internazionale, trasforma grano, gas e anche rifugiati in armi – una condotta terroristica all’interno di un discorso genocida.[9] Sulla base del revisionismo dello storico-in-capo del Kremlino, l’obiettivo dichiarato di Putin è negare all’Ucraina e ai suoi abitanti il diritto di esistere come cittadini ucraini, cioè, liberi dalla loro metropoli storica. Lo slogan della “de-nazificazione” non ha altro scopo se non epurare di ogni elemento etnico, linguistico e nazionale le popolazioni multilinguistiche e multiculturali ucraine. È questa la ragione per cui gli occupantl deportano migliaia di bambini ucraini: per russificarli. Infine, il conflitto è in realtà asimmetrico, poichè si svolge tra uno stato militarmente nuclearizzato e il più recente stato ucraino, la cui capacità di rispondere è limitata e non equivalente in termini di mezzi e metodi, poichè le armi e le risorse per una difesa efficace all’inizio erano insufficienti.
Negri e Guilhot avvalorano la propaganda di Putin che promuove una guerra tra la Russia e l’”Occidente collettivo”. Come risulta, in otto mesi di guerra decine di migliaia soldati e paramilitari russi sono rimasti uccisi in combattimento, molti di loro appartenenti a minoranze etniche dell’ex-impero sovietico, mentre la Nato non ha perso un solo soldato. Durante i primi mesi di guerra gli ucraini avevano solo una limitata assistenza militare difensiva e sono sopravvissuti all’assalto frontale come meglio potevano. Ancora una volta, la virtù machiavelliana si prende gioco dei calcoli dei realisti e degli pseudo-politici di tutti i paesi. Gli ucraini hanno bloccato l’invasione iniziale e hanno vinto la battaglia di Kyiv, nonostante l’asimmetria e l’assenza di supporto sostanziale da parte della Nato. La resistenza nazionale e militare in Ucraina era ed è ancora una resistenza di popolo[10]; una guerra di popolo contro un esercito occupante, come in Vietnam (anni 1950-70) o in Afghanistan (1979), che hanno anche sconfitto potenze nucleari.
Riflettersi nella propaganda neocoloniale di Putin e nascondersi dietro un’America latina inesistente o un Sud globale[11] sentimentalmente e culturalmente relativista ha come unico risultato l’approfondirsi della catastrofe etica e politica in cui la sinistra putinista – una frazione maggioritaria della sinistra che pensa sul tema della globalizzazione, sebbene con il fascino discreto dell’anti-imperialismo e delle teorie sul sistema mondiale – si è ritrovata.
Come dice Étienne Balibar[12], è necessario essere dalla parte della giusta guerra che gli ucraini stanno combattendo.
Alla fine, il realismo è irrealistico, poiché non è in grado di comprendere lo spazio dell’imprevedibile che la resistenza rivela. Lo stupefacente comportamento collettivo della resistenza ucraina ha riaperto la scena della globalizzazione oltre la discussione tra blocchi geopolitici e rapporti di forze, anche se ha creato solo una piccola crepa o una leggera deviazione della tendenza. Ma è una deviazione qualitativa, un clinamen. Gli invasori non se lo aspettavano, e neanche gli alleati, che solo dopo il successo della difesa iniziale ha cominciato ad aumentare l’aiuto militare, anche se con molte limitazioni di mezzi e nella selezione degli obiettivi.
In effetti, Negri e Guilhot non temono una confusione pericolosa; ciò di cui hanno veramente paura sono le verità pericolose. Poiché la loro analisi sceglie di non tener conto delle tensioni che si intrecciano nella situazione concreta, devono circondarsi di strumenti di difesa, come parlare in nome della pace mondiale e della salvezza dell’umanità di fronte all’orrore nucleare (evocato solo dalla parte putinista come guerra psicologica). La lotta efficace di chi combatte per la vita, l’indipendenza e la dignità è più temuta del trionfo dell’intollerabile. Sembrano non temere la vittoria di Putin e quello che significherebbe per gli ucraini e le altre popolazioni dell’est-Europa. Nulla potrebbe essere più osceno di questo.
Ribadire il sostegno alla resistenza ucraina e fornire tutto l’aiuto possibile, che venga dalla Nato, dall’Unione europea o dai paesi del Sud-globale, è ora un compito internazionalista fondamentale, in grado di mantenere vivo il desiderio per un altro mondo possibile, come nelle lotte del ciclo per una globalizzazione altra. Questo mondo già emerge, nonostante le terribili brutalità, accettate dalla sinistra putinista, nei campi e nelle città dell’Ucraina.