Redazione Guerra ucraina; Piero Maestri, Francesco Brusa, Oleksandr Kyselov
«Si tratta di lottare per la propria sopravvivenza»: un dato di fatto elementare, quello ricordato da Oleksandr Kyselov – militante di sinistra originario di Donec’k ma al momento residente in Svezia. Un dato di fatto che, però, molto spesso viene omesso da alcune delle interpretazioni dell’invasione in Ucraina, tese talvolta a minimizzare le responsabilità russe e a negare la legittimità della resistenza ucraina – ancora dopo due anni di guerra e massacri. Eppure è forse proprio da qui che occorre partire se si vuole elaborare un’analisi della situazione al tempo stesso pragmatica e orientata al futuro.
Una chiacchierata a tutto tondo di Piero Maestri e Francesco Brusa con Oleksandr Kyselov (autore, fra l’altro, di un recente e importante articolo che prova a delineare un programma politico minimo per la sinistra internazionale rispetto all’Ucraina) per capire meglio la sua prospettiva su quanto sta accadendo all’interno del paese aggredito, quali possono essere i rapporti con l’Europa da una parte e la Russia dall’altra nel prossimo futuro, e quali i principi di fondo che occorrerebbe seguire per continuare la costruzione di un movimento di solidarietà internazionale.
Ci sono stati da poco cambi ai vertici militari ucraini. Come valuti la situazione attuale del paese e del suo sforzo di resistenza?
È davvero difficile essere ottimisti. C’è grossa incertezza rispetto agli aiuti militari ed economici da parte degli Stati Uniti e al tempo stesso non si sa fino a che punto l’Europa potrebbe eventualmente sopperire a una tale mancanza: si sapeva da tempo dell’esigenza di aumentare la produzione di munizioni, eppure non ci si è adoperati per un tale obiettivo e ora c’è una grossa carenza di munizioni. Inoltre, vediamo che ci sono sempre meno persone intenzionate a combattere: della prima ondata di volontari alcuni sono morti, altri feriti… Sono ormai passati due anni dall’inizio della guerra e le persone si sentono esauste, stanche. Questo crea anche una situazione di tensione crescente e di scarsa fiducia reciproca.
Una dinamica che genera anche una certa discrepanza fra quello che indicano i sondaggi e la realtà: le persone continuano a dire di essere d’accordo con il programma governativo, sostengono lo sforzo bellico, dicono di credere nella vittoria e di voler ripristinare i confini del 1991 ma non si trovano così tanti pronti unirsi alle fila dell’esercito. Il governo sta cercando di capire come agire, ma ancora non riesce a essere convincente a sufficienza. Diciamo che tradizionalmente in Ucraina esiste una mancanza di fiducia fra cittadini e autorità: semplificando molto, si potrebbe dire che c’era un accordo tacito per cui i governi si sono quasi sempre rivelati desiderosi di allontanarsi dalle proprie responsabilità nei confronti della popolazione e, di converso, la popolazione si è spesso disinteressata di quanto succedeva nella sfera politica a meno di gravi violazioni dei diritti, che hanno ciclicamente portato a proteste di massa (i vari Majdan o rivoluzioni), enormemente partecipate ma non durature. Ora le autorità chiedono di mettere in pericolo la tua stessa vita.
È vero che con l’inizio dell’invasione si sono create una forte coesione e unità nella popolazione. Ma si trattava di una unità basata principalmente sull’istinto e sulla volontà di sopravvivenza. Anche se sei una Ong o un attivista politico, il punto di partenza è quello della sopravvivenza: per ciascuna di queste attività in Russia saresti perseguitato a livello legale, non potresti esistere. Tantissimi cittadini si sono autorganizzati per proteggersi nel momento in cui le truppe russe bombardavano la loro città ed entravano nelle loro case. In una circostanza del genere, i destini delle persone comuni da una parte e del governo e delle élite dall’altra erano intrecciati al destino del paese. Quindi questa unità che si è creata con l’invasione non ruotava attorno a una certa idea di nazione o a una progetto politico definito, ma si è semplicemente creata alla luce della necessità di sopravvivenza.
Più la guerra continua, più questo dinamica si rende visibile: le persone che si sono arruolate volontariamente nell’esercito stanno criticando con forza crescente il governo, talvolta perché non fa arrivare rifornimenti in misura adeguata oppure perché a volte ci sono problemi con i pagamenti… Voglio dire, se ti sei arruolato nell’esercito è perché hai a cuore la tua vita e la sopravvivenza della tua cerchia di affetti. È davvero qualcosa di così semplice e basilare. Le persone non lo fanno perché hanno fiducia nel governo, al contrario. Si vede anzi la discrepanza fra la narrazione governativa, spesso trionfalistica, e quanto dicono gli stessi comandanti militari o soldati: dicono che non è per nulla semplice sconfiggere la Russia, che le truppe di Putin imparano dai propri errori e si stanno rinforzando. Quindi c’è un processo per cui le persone sono sempre più demoralizzate e il governo dovrebbe trovare un modo per dare risposta a questa demoralizzazione e a questi timori, ma non è semplice. Una risposta che le autorità stanno provando a mettere in atto è quella di rendere più rigidi i criteri di coscrizione e lanciare una nuova mobilitazione, ma non si tratta di misure che verranno accettate facilmente.
Vedi un limite per le forze di sinistra da sinistra? Fino a che punto si può sostenere una guerra che, nel caso la coscrizione venisse portata avanti con metodi molto coercitivi, è sempre meno di popolo?
Il problema è che in questo momento è complicato sostenere un tipo di resistenza diverso dalla guerra. Più che altro, riesce davvero difficile vedere una qualsiasi alternativa che possa essere accettabile per entrambe le parti. La prima questione fondamentale per cui in questo momento è sostanzialmente impossibile un accordo è quella della mancanza di garanzie di sicurezza: cosa può garantire all’Ucraina che un cessate il fuoco non sia semplicemente una pausa che permetta alla Russia di continuare le operazione qualche tempo dopo, dal momento che ancora nelle dichiarazioni e nella retorica delle élite russe permane l’idea di provare a conquistare un “corridoio” sul Mar Nero dalla Transnistria alla Russia. In più, dai discorsi di Putin si può chiaramente capire che il presidente russo non riconosce l’Ucraina come soggetto autonomo, lo vede semplicemente come uno strumento in mano ai governi stranieri e occidentali, che lo utilizzano in modo cospirativo per separarlo artificialmente dalla Russia. Se chi esprime questi argomenti è il presidente della nazione con cui dovresti fare un accordo, come è possibile fidarti?
Questo dunque è l’ostacolo più grande, che infuenza anche la credibilità generale del governo ucraino nei confronti della popolazione: come può la popolazione ucraina fidarsi di un accordo se non ha una garanzia vera che magari tra un po’ di tempo la Russia non ci riprovi, magari con capacità militari accresciute e dopo aver rivisto la propria strategia? La questione non riguarda l’entrata nella Nato o cose simili – ci sono tante rinunce che l’Ucraina era già pronta a fare – ma è l’assenza di garanzie a costituire il nocciolo del problema. Sì, a un certo punto è possibile che si arrivi a un cessate il fuoco, perché per l’Ucraina sta diventando sempre più difficile resistere. Ma non riesco a vedere come un tale cessate il fuoco potrà rappresentare una situazione duratura. Sarà semplicemente una pausa, perché nessuna delle due parti ha raggiunto i suoi obiettivi: la stessa Russia ha incorporato ufficialmente dei territori che non controlla in maniera completa, li ha proprio inseriti come territori russi nella Costituzione. Come ne uscirebbe? Di converso, lasciare quei territori alla Russia implicherebbe cambiare la costituzione anche per l’Ucraina… Ed è difficile immaginare in questo momento tutti i partiti ucraini uniti nell’accettare questa ipotesi e nemmeno è facile immaginare la popolazione che potrebbe sostenere una soluzione del genere, che peraltro potrebbe provocare una crisi di legittimità politica che andrebbe quasi sicuramente a beneficio delle forze di destra (dal momento che non c’è un movimento di lavoratori o una forza partitica di sinistra di massa).
Il cessate il fuoco potrebbe però essere una scelta strategica, per minimizzare i danni e magari pensare a un maggiore coinvolgimento dei paesi europei nella difesa dell’Ucraina?
Intanto mi chiedo e insisto: le autorità russe riuscirebbero a mettersi d’accordo per accettare un cessate il fuoco? Voglio dire, non è così difficile spingere le autorità ucraine a negoziare. Certo in questo momento e alle attuali condizioni non vogliono negoziare ma possono essere tranquillamente spinti dalle circostanze a farlo: pensiamo solo a un’eventuale elezione di Trump e all’incertezza generale che ne seguirebbe; ma anche alla stessa difficoltà di portare avanti la mobilitazione. Da questo punto di vista non sembra così impossibile forzare il governo ucraino a negoziare. Ma insisto: chi potrebbe invece spingere la Russia ad accettare un qualche termine di accordo che sia al tempo stesso accettabile anche per l’Ucraina? Il fatto che magari con una pausa l’Ucraina abbia la possibilità di riorganizzarsi e di rafforzare la propria difesa non coincide con l’obiettivo russo della demilitarizzazione dell’Ucraina. Inoltre un negoziato in Ucraina viene visto in maniera molto sospetta perché è molto facile che si traduca in un’occasione per il mondo intero di lavarsene finalmente le mani di quanto sta accadendo lì, e senza il sostegno internazionale l’Ucraina non può certo reggere l’urto russo.
Questo è il grosso problema. Ripeto, è probabile che prima o poi si arrivi a un cessate il fuoco de facto. Per esempio ora sta diventando senso comune il fatto che quest’anno sarà un anno in cui l’Ucraina si concentrerà sulla difesa e questo forse renderà meno intensi i combattimenti. Ma ci sono così tanti fattori che rendono l’intero processo estremamente poco prevedibile. Anche per lo stesso governo negoziare vuol dire assumersi un grosso rischio. Non tutte le persone sarebbero pronte ad accettarlo e, di fatto, qualsiasi cosa l’Ucraina accetti in questo momento verrebbe giustamente considerata dalla Russia al pari di una capitolazione. Questo non significa che la sinistra è contraria ai negoziati, tutt’altro… Una delle speranze che si mettevano nella controffensiva è che in caso di successo avrebbe magari spinto la Russia a negoziare con l’Ucraina in una buona posizione di forza, anche se magari fosse stato qualcosa di temporaneo. Ora invece la Russia ha la volontà di dettare le proprie condizioni da una posizione di forza relativa. Insomma non c’è nessun elemento di cui siamo a conoscenza che indichi che la Russia sia pronta ad accettare determinate condizioni, senza le quali è impossibile pensare a un cessate il fuoco: ovvero che il sostegno militare all’Ucraina continui a essere garantito, che le annessioni territoriali non vengano ufficializzate e che sia chiaro alla comunità internazionale che un tale cessate il fuoco potrebbe non durare.
Come valuti il modo in cui si sta conformando il rapporto fra Ucraina ed Europa, soprattutto pensando agli accordi bilaterali che molti governi stanno firmando con Kyiv e allo “spettro” dell’elezione di Trump?
Gli aiuti militari rappresentano un sostegno necessario per l’Ucraina anche a prescindere dall’esito della guerra, perché comunque la Russia non si dissolverà. Anche se la Russia dovesse perdere la guerra, se non ci dovesse essere un cambio di regime che porta la Russia a essere un paese democratico o perlomeno costituzionale, sopravviverà al suo interno e nella sua leadership un’idea revanscista che renderà possibili altre iniziativi militari simili all’invasione dell’Ucraina. Sulla questione, il senso comune a sinistra utilizza spesso questi argomenti: primo, le armi sono una cosa negativa, non si devono produrre e non si possono mandare ai paesi in guerra perché la guerra è in sé qualcosa di negativo; similmente, si è contrari ai profitti del complesso militar-industriale… Si tratta di discorsi molto spesso astratti e secondo me sconnessi dalla realtà, così come quello per cui il rifornimento di armi prolungherebbe la guerra.
Il fatto è che le armi non sono una questione connessa con la soluzione del conflitto! La soluzione della guerra è una questione politica e fornire armi non significa per forza di cose sostenere politicamente una soluzione militare del conflitto. Semplicemente, le armi sono necessarie per avere la capacità di difendersi, in ogni caso e quale che sarà la soluzione del conflitto: se i negoziati dovessero fallire o comunque se qualcosa dovesse cambiare mentre i negoziati sono in corso, quelle armi servono per essere capace di difenderti comunque. Ci sono molte cose davvero strettamente necessarie per la sopravvivenza, come la difesa aerea: sappiamo benissimo che l’Ucraina è soggetta ad attacchi missilistici…. Però si discute pure di tracciare la linea rossa sulla fornitura dei jet militari. Ma questi jet non servono all’Ucraina per andare a bombardare la Russia, che so, da qualche parte sui monti Urali… No, in primo luogo non abbiamo così tanti jet per condurre attacchi di questo tipo e in ogni caso il loro uso, per come viene comunemente inteso (anche da parte delle nazioni europee) è difensivo: possono essere coinvolti nella contraerea, ecc. Non penso che quasi nessuna delle nazioni che fornirebbe jet all’Ucraina acconsentirebbe a un loro uso nel mezzo del territorio russo.
Purtroppo, anche se si volesse tracciare questa linea di distinzione fra difesa e attacco, spesso questa linea non è così netta. Qualsiasi arma che hai può essere usata in difesa. Per me questo è molto importante che si capisca a sinistra. Dopodiché, sì, c’è anche un abbozzo di discussione riguardante la possibilità che la Nato difendesse i territori ucraini non occupati (anche se ci sono diverse ambiguità su dove stia il confine tra territori occupati e non occupati, ma comunque…) e si connette questa possibilità con quella dei negoziati con la Russia. Ma per la Russia il solo fatto che anche una parte dell’Ucraina entri nella Nato creerebbe una dissonanza con i loro intenti dichiarati, almeno a livello propagandistico: perché la narrazione ufficiale fin dall’inizio riguardava proprio la necessità di rimuovere completamente la Nato dal territorio ucraino… Quindi, ancora, è difficile immaginare che accettino un accordo simile.
Magari può avere maggiore successo il tentativo di stringere accordi bilaterali fra l’Ucraina e altre nazioni europee che si impegnino a difenderla al di fuori dell’ombrello della Nato. Questo mi pare maggiormente fattibile, ma solo se sarà vincolante. Non dimentichiamoci infatti che quelle nazioni che hanno firmato il memorandum di Budapest e che avevano un obbligo legale, o comunque morale, di garantire la sicurezza territoriale dell’Ucraina non è che si siano implicate in prima persona quando è iniziata l’invasione. L’Ucraina allora rinunciò al suo arsenale nucleare e se abbandoni l’Ucraina dopo questo grosso rischio che si è assunta, che tipo di esempio dai? Come puoi poi sostenere qualsiasi processo di disarmo nucleare?
E al di fuori delle questioni più strettamente militari?
Sotto molti aspetti la decisione di accettare l’Ucraina all’interno di un percorso di adesione all’Unione Europea è stata una decisione politica. Si tratta di un percorso molto lungo ed è chiaro per me che deve essere graduale: non puoi forzare l’ingresso dell’Ucraina nell’Unione Europea senza alcun criterio, occorrono determinate condizioni che devono essere soddisfatte e al momento il paese non le soddisfa. L’orizzonte dell’ingresso nell’Ue è una leva di pressione che può essere utilizzata per cambiare la situazione attuale in termini sociali: la stessa Unione Europea è un’organizzazione dal carattere neoliberale, che però mantiene alcuni elementi di socialdemocrazia in termini soprattutto di diritti lavorativi. Le garanzie di diritti sul lavoro dell’Ue possono essere certo meno progressiste se confrontate con quelle di altri paesi membri più avanzati, ma per l’Ucraina costituirebbero invece un passo in avanti, se non in termini sostanziali comunque in termini di aumento di legittimità di determinate proposte politiche per l’introduzione di diritti sociali e lavorativi. Anche partecipare ai meccanismi di coesione potrebbe essere molto d’aiuto, soprattutto in questo momento in cui c’è questo diffuso timore in base al quale i contadini ucraini si prenderebbero tutti i sussidi. L’Ucraina è un paese devastato per cui il sostegno da parte dell’Unione Europea non può che giovargli. Ma è naturale che sia un processo graduale.
Inizialmente la sinistra ucraina non era così “euro-ottimista”. Per molti cittadini in Ucraina il concetto di Europa non corrisponde all’idea concreta di un’organizzazione interstatale con certi principi comunitari, è più una sorta di mitologia. Un sogno in cui credere, magari perché ci si è stati qualche volta, si hanno dei parenti là, si sono sentiti dei racconti a riguardo. Anche solo se si va in Polonia si vede la differenza di sviluppo e se si ha memoria dell’epoca sovietica si vede la differenza. Insomma, se si viaggia un po’ in est-Europa è facile notare come tantissime cose, dalle costruzioni, ai servizi o anche i banchi di scuola sono finanziati dall’Ue. Quindi è chiaro che si genera un’impressione positiva dell’Ue e le persone hanno questo orizzonte, vogliono questo tipo di sostegno allo sviluppo.
Ma, come dicevo, la sinistra è sempre stata critica su questo punto. Prendiamo anche il Majdan. In pratica iniziò perché Janukovyč si era rifiutato di firmare un accordo di cooperazione economica con l’Ue. Non parliamo di una candidatura di ingresso nell’Unione ma un accordo puramente economico, e dunque per chi seguiva le notizie in maniera assidua l’inizio di un ciclo di proteste che avevano come oggetto un fatto così marginale risultava davvero strano. Ma anche in questo c’era una responsabilità del governo: lo stesso Janukovyč aveva investito moltissimo sull’accordo con l’Ue, in termini di retorica e propaganda. Era un modo per contrapporsi agli “arancioni” usciti vittoriosi dal 2004: in pratica Janukovyč voleva far passare il messaggio per cui quella classe politica era composta solo da “chiacchieroni” che non portavano a casa il risultato, mentre quelli come Janukovyč erano persone dell’est dell’Ucraina più concrete, fattive.
Insomma loro stessi hanno contribuito a creare questo “sogno” e a creare un’altissima aspettativa. Perciò il rifiuto finale non poteva essere percepito che come un tradimento verso la popolazione. In ogni caso guardando questi processi un po’ a distanza non si capisce perché si debba guardare all’integrazione dell’Ucraina nell’Ue con un occhio negativo. Non c’è davvero niente di sbagliato in questo “sogno”. Capisco che per buona parte della sinistra europea questo suoni controverso, in particolare perché alcuni vorrebbero uscire dall’Unione Europea. Ma anche in questo caso, mi viene da dire, si tratta di una questione interna all’Ucraina: l’Ucraina vuole l’integrazione, quindi è lecito chiedere che si rispetti questa volontà. Se proprio non volete sostenerla attivamente, perlomeno non remate (o votate) contro.
Come vedi invece un futuro possibile rispetto al contesto post-sovietico? Come considerare l’eredità di un passato che comunque è comune fra nazioni oggi in guerra, nel peggiore dei casi, o che comunque si stanno allontanando sempre più?
È una domanda complessa. In primo luogo, a un livello molto di base, è lecito aspettarsi una qualche sorta di rapporto civile e pacifico con queste nazioni per il semplice fatto che ci sono e sono lì. Esiste chiaramente una grossa differenza fra la Russia e la Bielorussia’: la seconda è intrappolata nella visione di Lukašenka, ma non è un paese che manifesta ambizioni di controllo nei confronti dell’Ucraina. Non è la Russia, e infatti direi anche che in Ucraina non c’è un alto livello di negatività nei confronti dei bielorussi se confrontato con quello riservato ai russi. La comune eredità sovietica o post-sovietica, invece, credo stia semplicemente scomparendo, sta diventando sempre più una cosa del passato. Le generazioni più giovani hanno sempre meno un legame emozionale con quel passato perché, semplicemente, l’Unione Sovietica non c’è più.
Parzialmente è un processo legato anche alla lingua. Il russo come lingua comune si sta perdendo. Prendi la zona del Caucaso: se si va in Georgia non tutti parlano russo ora; in Azerbaigian forse di più, ma non tutti, e lo stesso in Armenia le cose stanno cambiando soprattutto in relazione all’insoddisfazione rispetto alla forte dipendenza con la Russia. Insomma sta accadendo in tutto lo spazio post-sovietico: l’identità sovietica sta scomparendo. Forse emergerà un’identità regionale maggiormente basata su altri elementi della nostra prossimità culturale, che magari ci spingerà ad avere maggiori relazioni con nazioni quali Repubblica Ceca o Polonia. Per un ucraino viaggiare in quei luoghi significa scoprire somiglianze, magari inaspettate, ma allo stesso tempo non sembra normale sentirsi associati a livello identitario. Ma le connessioni saranno sempre di più. Dopotutto, siamo paesi confinanti..
Con la Russia?
La Russia è davvero un caso particolare, intriso di sangue e traumi irrisolti. Conosco molte persone dal resto dello spazio post-sovietico. Convidiamo diverse cose proprio per via del comune passato sovietico e del fatto che esiste una memoria comune, di fatto, traumatica legata all’impero russo che unisce le prospettive dei popoli annessi all’Unione Sovietica. Anche adesso che la Russia sta tentando di proiettare la propria potenza nel suo estero vicino è chiaro che si sta diffondendo ulteriormente un sentimento anti-russo, per quanto questo sentimento possa essere fuori fuoco dal punto di vista politico. Ma, insomma, è come se tutti i popoli ex-sovietici avessero lo stesso problema in questo momento.
Quindi ci sono persone che magari non parlano russo coi russi, ma invece parlano russo come lingua comune fra i non russi. Quando stavamo raccogliendo firme all’assemblea parlamentare del Consiglio Europeo, c’erano deputati dai paesi baltici che parlavano russo perché sanno la lingua. Magari non vogliono parlare col governo russo ma altrimenti usano la lingua. Dov’è il problema? Sotto molti aspetti, la lingua è solo un mezzo. Quindi diciamo che c’è un’unione fra paesi che condividono timori e problemi simili che stanno provando a cooperare fra loro. Ma non so come questo possa tradursi in un’infrastruttura comune a tutto lo spazio post-sovietico. Sì, forse fra le nazioni europee già ci sono scambi a livello giovanile, programmi comuni e molte di queste nazioni vogliono entrare nell’Unione Europea e dunque sono proprio obbligate a cooperare.
Per quanto riguarda la Russia, è difficile. Diciamo che mi piacerebbe vedere una Russia che si concentra su se stessa. Non so se avrà un futuro in cui sarà decolonizzata o federalizzata o simili. Ma la premessa è che si possa concentrare su se stessa. Se lasciamo da parte Mosca, San Pietroburgo e altre città, il resto del paese è davvero sottosviluppato e a nessuno importa. È anche per questo che per le élite russe è stato possibile trovare così tante persone che si arruolassero. È bastato promettere cifre che molte di queste persone non hanno mai visto nella loro vita. E quando vedi che per le famiglie sacrificare qualcuno dei loro parenti diventa un calcolo economico sensato provi un senso di orrore, ma allo stesso tempo ti mostra bene quale sia lo stato di cose in Russia. Il paese è talmente concentrato nel portare avanti un programma di espansione territoriale, ma non presta attenzione alle condizioni interne. Se riusciranno in questa espansione magari resteranno una nazione integra, altrimenti si divideranno – ma in ogni caso è questione che dovranno decidere i cittadini della Russia.
Aggiungo che se la Russia volesse continuare a esistere sotto forma di federazione, la società dovrebbe davvero lavorare sul suo sciovinismo, che è estremamente visibile da parte degli altri popoli slavi. Conosco persone che hanno legami stretti con la cultura russa, perché è il modo in cui sono cresciuti e poi magari vanno in Russia e vengono discriminati, semplicemente perché appaiono diversi. Ci sono così tanti pregiudizi in questo “complesso di superiorità” della popolazione russa che diventa davvero difficile immaginare un’esistenza pacifica della Russia nelle condizioni in cui si trova ora.
Si è cominciato a parlare con maggiore insistenza dello sciovinismo russo soprattutto in seguito all’invasione su larga scala. Pensi si tratti di una caratteristica che si è resa più visibile nel tempo anche per gli stessi ucraini?
Era in un certo senso sempre stato chiaro, ma prima dell’invasione lo sciovinismo russo non si trovava al centro delle mie preoccupazioni. Voglio dire, ci sono tante cose di cui preoccuparsi anche ora: penso alla Turchia, che a volte sembra essere il miglior amico dell’Ucraina altre volte il peggior nemico. Ma in Russia c’è questo “complesso messianico” per cui spesso élite e persone comuni si sentono in dovere di essere responsabili del destino delle altre nazioni. Una sorta di paternalismo che non attribuisce nessuna soggettività agli altri popoli, perché solo loro sanno cosa è meglio per gli altri. C’è davvero questa idea al fondo dell’invasione: la convinzione che stiano facendo qualcosa di buono per l’Ucraina, che viene considerata una nazione con molti problemi che si possono risolvere con un’occupazione.
In effetti anche la nascita dell’Unione Sovietica è stata segnata da una guerra civile, per buona parte interna alle forze di sinistra. Come si dovrebbe guardare dal tuo punto di vista a questa complessa eredità?
Non sono uno storico, ma posso dare la mia prospettiva. La mia impressione è che una buona fetta della sinistra internazionale abbia “scoperto” l’Ucraina solo con l’invasione russa e questo chiaramente ha portato a riaprire anche un dibattito storico più ampio. Sì, è vero quello che dici: al tempo della nascita dell’Unione Sovietica c’era una guerra civile e c’erano diverse idee e diversi partiti a sinistra, non solo il partito bolscevico. Alla fine, ci fu appunto un partito che ha vinto e che ha imposto la sua volontà sugli altri: molte persone sono emigrate o imprigionate o uccise. E anche all’interno degli stessi bolscevichi c’erano diverse fazioni, come i nazionalcomunisti che forse hanno avuto anche un’influenza sulla visione leninista che almeno a livello formale denunciava lo sciovinismo russo.
Anche la sinistra ucraina col tempo ha prestato poca attenzione a tali processi, soprattutto perché durante l’Unione Sovietica si era creato uno spazio culturale comune. E questo ha influito poi su una parte della sinistra post-sovietica che si è sempre percepita come connessa fortemente alla Russia e che è diventata sempre più social-conservatrice. La sinistra ucraina, la nuova sinistra, cercava qualcosa di diverso. Perché si è tentato comunque di tenere maggiormente in considerazione i sentimenti comuni della popolazione e non tutti sono nazionalisti e al tempo stesso non tutti, soprattutto se ci si muove al di fuori delle zone industriali dell’est, associano se stessi alla Russia, anzi.
A ogni modo, rispetto al rapporto che si dovrebbe avere nei confronti del passato, la mia posizione è legata al buon senso. Non mi ritrovo troppo nei discorsi che si appellano alla “decolonizzazione”, perché è un concetto che non ritrae bene la situazione in Ucraina che è molto più complessa. È un concetto che se preso radicalmente si concentra troppo sull’elemento etnico, che non è né l’unico né il più importante. Soprattutto se si è di sinistra. No, occorre avere una concezione più civica: siamo una società civica, viviamo in Ucraina e l’Ucraina è una nazione multietnica, soprattutto nella regione del Donbas da cui provengo. È chiaro che tanti che magari usavano il russo nel quotidiano hanno smesso perché l’invasione è stato un evento traumatico (e soprattutto si basava sull’idea che la Russia invadeva per proteggere chi parlava russo), ma questo non significa che chi continua a parlare russo o è russo e vive in Ucraina sia pro-russo. E per alcune di queste persone la lingua russa è importante, anche nella loro vita privata. Perciò ci opponiamo a qualsiasi divieto, si tratterebbe di sciovinismo linguistico. Chiaro, l’ucraino è la lingua comune e occorre riconoscere che la cultura ucraina è stata spesso soggiogata e va reinventata. Ma questo non significa che dobbiamo reprimere persone che parlano un’altra lingua. Tutti devono avere cittadinanza e devono essere accettati.
Che idea hai di un’Ucraina libera dopo la guerra? Quali sono le cose per cui la sinistra dovrebbe lottare?
È una situazione molto strana perché da una parte ci sono i fatti, gli eventi che stanno accadendo, ma il modo in cui le singole persone, e il governo e i vari gruppi li interpretano è già un’altra cosa. E dunque il futuro per cui le persone stanno lottando costituisce una pluralità di spunti e direzioni. La retorica governativa si è installata dentro un quadro di discorso che vede la civilizzazione euroatlantica contro la barbarie russa – retorica che vorrebbe porre l’Ucraina su un piano simile a quello di Israele, che invece di fatto col suo atteggiamento aggressivo-securitario è più simile alla Russia nel contesto del Medio Oriente. Ma siccome Israele associa se stesso con la civilizzazione europea atlantica, siamo in un certo senso alleati. È grottesco e peraltro non descrive molto bene la situazione. Magari è qualcosa che per gli alleati risulta lusinghiero, ma è ipocrita. La nostra nazione e le nazioni alleate hanno interessi diversi.
Dal punto di vista di sinistra, invece, ci sarebbe da sottolineare come l’Ucraina abbia più punti di contatto con le nazioni del “sud globale”. Sotto molti aspetti davvero trovi molte più cose in comune con persone del sud globale che con gli europei. Esiste una sorta di discrasia: forse a livello ideologico c’è maggiore comunanza con le popolazioni europee, ma a livello concreto con nazioni del sud globale. È davvero una situazione complessa: la retorica governativa ci allontana e ci aliena da paesi che invece si trovano in situazioni molto simili alla nostra. E questo preclude possibili alleanze e collaborazioni. È una retorica davvero semplicista e riduzionista, che non sopporto. Ci sono alcuni politici liberali in Ucraina che addirittura vedono l’Unione Europea come se fosse l’Unione Sovietica, nel senso che hanno paura che interferisca troppo nel mercato con le sue regole. È la parte più radicale della componente liberista e dicono davvero queste cose. Quando li sento voglio davvero entrare nell’Ue perché se questi dovessero andare al governo almeno si potrebbe appellarsi a una qualche sorta di protezione sociale.
I nazionalisti e l’estrema destra anche loro sono un po’ scettici nei confronti dell’Ue perché vedono tutto questo come la continuazione di una lotta millenaria di allontanamento dalla Russia, con cui siamo stati sempre in guerra. E sono davvero conservatori. Quindi per loro questa idea di un’unione di tanti stati già risulta sospetta per via delle migrazioni, della mescolanza, ecc. Poi i valori liberali dell’Ue sono fumo negli occhi. E anche per questo desiderare l’ingresso in Ue per la sinistra ha molto senso, perché puoi portare avanti le tue idee con maggiore legittimità. Insomma, almeno a livello discorsivo puoi dire che occorre rispettare i diritti umani, i diritti sociali, ecc. Quello che mi sembra importante è continuare il dialogo e costruire alleanze pratiche senza lasciarsi guidare dalle proprie rispettive ideologie e dal modo in cui ci si è socializzati all’interno dei rispettivi ambienti di sinistra. Si può essere contrari alla guerra, si può essere contro l’Unione Europea, ma al tempo stesso comprendere che per una sinistra che vuol fare i conti con la situazione sul campo ci sono cose che sono chiaramente preferibili ad altre. Per i lavoratori ucraini è meglio avere armi con cui possono difendersi, è meglio essere dentro il discorso europeo perché questo perlomeno crea una maggiore legittimità formale nel reclamare certi diritti. Siamo piccoli, non sappiamo a che livello potremo portare le nostre battaglie ma questo dipende da quanto le sinistre saranno capaci di unirsi e orientare le proprie azioni in maniera pragmatica nel rispetto delle esigenze reciproche. In Russia non c’è libertà di parola, non c’è libertà di associazione: non puoi fare nulla di sinistra. E non è nemmeno l’Unione Sovietica, in cui almeno potevi avere un livello di vita decente grazie ai sussidi e al sistema del welfare. No, a parte qualche città, in Russia la vita fa schifo. E questo potrebbe essere il futuro dell’Ucraina. Non è che siamo eurottimisti o Nato-ottimisti, è solo che stiamo cercando l’opzione migliore fra quelle esistenti. E per farlo ci serve sostegno, supporto, comprensione.