Lo stupro come arma di guerra: le donne ucraine meritano giustizia

L’otto febbraio, durante una conferenza stampa che rimarrà nella storia, Putin ha dichiarato guerra all’Ucraina paragonandola a una donna morta, sottoposta a uno stupro. Per farlo, ha usato alcuni versi agghiaccianti della canzone russa “La bella addormentata”, un inno rap allo stupro e alla necrofilia. “Che ti piaccia o no è il tuo dovere bellezza mia”. Una frase che, riascoltata oggi, alla luce del novantunesimo giorno di guerra, risulta premonitrice e allude all’intento genocida del dittatore russo.

Le donne ucraine hanno subito compreso il significato di quelle parole e hanno fondato una chat sui social riguardante gli stupri da parte dei soldati russi. La giornalista Olga Tokariuk mi ha raccontato telefonicamente che, su varie chat e social media, molte donne in Ucraina raccontano di essersi attivate per l’uso della spirale, così da non rimanere incinte in caso di stupro. Le parole di Putin erano un codice militare, un ordine ai soldati di incominciare la compagna di stupri di massa, a danno delle donne ucraine. Infatti, tre mesi dopo l’inizio dell’invasione le autorità ucraine hanno raccolto centinaia di testimonianze di donne e ragazze catturate e violentate dei soldati russi. Nelle telefonate intercettate di alcuni soldati russi, in molti si vantano e ammettono di aver abusato sessualmente di donne e bambini, nonostante il Cremlino continui a smentire.

La commissaria ucraina per i diritti umani ha raccolto testimonianze delle vittime e ha stilato un rapporto che denuncia stupri di bambini, violentati dai soldati russi davanti alle loro madri. Il rapporto dettagliato descrive lesioni genitali gravissime di una bambina di nove mesi violentata con una candela, e di un altro bambino di un anno violentato con un fucile da ben due soldati russi e deceduto in seguito alla brutalizzazione. E di una terza bambina di due anni, sempre stuprata da due soldati russi. Bambini sodomizzati e torturati da un gruppo di soldati mentre un secondo gruppo stuprava le madri davanti a loro.

Anche donne e uomini anziani ucraini hanno testimoniato di essere stati abusati dai soldati invasori russi. Dopo il massacro di Bucha furono ritrovate venticinque bambine e ragazze, catturate e trattenute in schiavitù sessuale, per ben tre settimane. Il rapporto conclude che quello che sta accadendo in Ucraina è a tutti gli effetti un genocidio. Gli stupri di massa sono un’arma di guerra che insieme ai bombardamenti a tappeto, ai massacri, alle fosse comuni, alle torture e alle deportazioni mirano a distruggere le identità di un popolo sovrano.

Gli stupri sistematici di massa sono diventati il simbolo del genocidio sia in Bosnia ed Erzegovina sia in Rwanda. Centinaia di migliaia di donne furono stuprate in questi due Paesi. In Bosnia, i criminali di guerra Milosevic e Mladic istituirono veri e propri campi di stupro. Questo accadde nel cuore dell’Europa negli anni Novanta. La comunità internazionale dovette attendere la fine di queste due guerre per approvare il riconoscimento dello stupro come arma di guerra; questo fu il motore dietro al quale nacque la dottrina della responsabilità di proteggere. Oggi siamo davanti a migliaia di testimonianze, prove inconfutabili e segnalazioni documentate, molto simili a quelle già viste nei due esempi precedentemente menzionati.

I leader politici di destra e gli opinionisti che sostengono che la sottomissione e la cessione di una fetta del territorio ucraino a Putin porterebbe alla pace dovrebbero sapere che questo equivale a dire che non ci interessano i diritti umani e non ci interessa il numero di cittadini ucraini torturati, deportati, stuprati e uccisi dalle milizie russe.

È un fallimento morale e politico chiedere all’Ucraina di accettare quello che nessuno Stato sovrano accetterebbe. Lo stupro è uno degli aspetti di questo conflitto che continua ad essere totalmente ignorato. Questa è una guerra feroce voluta da un uomo, un dittatore che ha già dimostrato, negli ultimi vent’anni al potere, che nessuna trattativa, dialogo, o accordo può fermare la sua sete di conquiste imperialistiche. Conquiste per le quali è disposto a usare qualsiasi arma.

“Non mi sono mai vergognato così tanto del mio Paese” sarà lo slogan di questa guerra: sono le parole di un diplomatico russo che coraggiosamente si è dimesso in protesta contro questa invasione e Putin.

Le giornaliste ucraine che hanno vinto il premio Pulitzer e che denunciano su tutte le televisioni mondiali i crimini di guerra russi hanno dichiarato in un’intervista al giornale statunitense più influente “Politico” che con tristezza rinunciano e condannano il giornalismo televisivo in Italia. Queste donne coraggiose, che rischiano la vita ogni giorno raccontando gli orrori di questa guerra, si sono trovate costrette a rinunciare ad apparire nei programmi televisivi italiani a causa della ormai dilagata propaganda russa e al numero allarmante di talk show che prediligono gli share e la spettacolarizzazione della guerra alla verità e che concedono colpevolmente spazio a opinioni o teorie palesemente illogiche, contraddittorie o persino ipocrite. Questa è una denuncia grave che dovrebbe farci riflettere e che pone un interrogativo importante: davanti a tutti questi crimini di guerra orchestrati e ordinati da Putin chi siamo noi e fin quando continueremo ad accettare lo stupro semplicemente come uno dei danni collaterali di questa guerra? Specialmente dopo aver assistito alla premiazione dei soldati che portano avanti questi atti brutali. L’ennesima dimostrazione che Putin sta esportando la sua natura con le bombe, con gli stupri, con il ricatto energetico e alimentare con la propaganda e la corruzione.

Coloro che continuano ad ignorare le atrocità e il menù di barbarie che i russi stanno imponendo al popolo ucraino stanno abdicando alla loro responsabilità morale, barattando la democrazia, sottomettendosi al regime autocratico di Mosca che mira a convincerci che l’Italia dei diritti è una causa persa.